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Berlinale 2010 Il mercato delle coproduzione - il caso Son Of Babylon

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- Dall'idea originaria alla consegna finale, da Leeds a Baghdad i produttori hanno combattuto quattro anni per realizzare il film. Un esempio di come anche il più piccolo aiuto finanziario ha fatto la differenza.

Case Study: Son Of Babylon - Ricostruendo il puzzle babilonese
in collaborazione con Cineuropa.org

Isabelle Stead (produttore, Human Film, Regno Unito), Mohamed Al-Daradji (regista), Raphaël Berdugo (agente di vendita, Roissy Films, Francia).
Moderatore: Amra Bakšić Čamo

Dall'idea originaria alla consegna finale, da Leeds a Baghdad i produttori hanno combattuto quattro anni per realizzare Son Of Babylon [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
(Berlinale, Panorama 2010). Il team parla della sua odissea vittoriosamente giunta a termine e di come, dopo molti rifiuti e rinunce da parte di fondi e finanziatori potenziali, alla fine i sostenitori si unirono uno dopo l'altro (Iraq, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi, Palestina, Emirati Arabi, Egitto, USA/Giordania), come anche il più piccolo aiuto finanziario ha fatto la differenza.

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Amra Bakšić Čamo- moderatore: Son Of Babylon [+leggi anche:
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]
è stata una produzione piuttosto difficile. Credevo che per cinque anni lo avessero portato avanti come una coproduzione standard europea o internazionale. In realtà firmavano contratti ma avevano trovato una loro strada: firmarono la maggior parte dei contratti alla fine. Ci spiegheranno come hanno fatto. Vorrei che fosse Isabelle a cominciare, perché Mohamed come regista parlerà naturalmente molto, e vorrei che ci dicesse com’è stato l’incontro con Mohamed regista e com’è nato il progetto.

Isabelle Stead – produttrice (Human Film): credo che Mohamed possa essere considerato il Rossellini iracheno. Lavora molto " a braccio" e gli piace lavorare con attori non professionisti. Lo incontrai quando stavo frequentando un master alla Leed Metropolitan Film School. Entrambi lavoravamo lì ed entrambi venivamo dall'industria del cinema: io da Hollywood e Mohamed dall'Olanda.

Eravamo tutti e due un po' stanchi delle storie e dei progetti sui quali avevamo lavorato. Mohamed aveva appena finito di girare Ahlaam. Condividevamo la stessa visione sul genere di storie che volevamo raccontare. Naturalmente, poiché Mohamed è iracheno, racconta le storie del suo Paese con molta passione e da una prospettiva irachena, che è in contrasto con quella americana. Questa cosa mi interessava molto.

Ahlaam era il suo primo film e non appena cominciammo a lavorare su un documentario intitolato War, Love, God and Madness, cominciai a notare un cambiamento nel modo di lavorare di Mohamed... era davvero eccitante. Con alcuni registi non sempre si vede questa crescita ma nel suo lavoro si vedeva un drammatico cambiamento, tanto che quando mi parlò dell'idea di Son of Babylon, che originariamente si intitolava Hussein, fui rapita dalla storia. È la storia di una madre che cerca suo figlio, poteva essere una qualsiasi madre in un qualsiasi Paese del mondo, e ciò la rendeva universale. Così, nonostante si trattasse di una piccola idea, per me come produttrice, aveva un gran valore. Forse Mohamed può parlarvi di come nacque la storia.

Mohamed Al Daradji - regista: è incredibile essere a Berlino, perché quando iniziai questo progetto, cinque anni fa, non avrei mai pensato che mi sarei seduto qui a parlare della mia coproduzione. Quando cominciai il mio primo film, nessuno voleva lavorare con me. Pensavano che fossi pazzo a girare un film in Iraq, all'interno dell'Iraq durante la guerra.

Quando ebbi successo con il primo film pensai che il secondo sarebbe stato più facile da fare, lavoravo tra l’Europa e l'Iraq e quindi avrebbe dovuto essere più facile per me. L'idea mi venne nel 2003, dopo l'invasione. Avevo finito il master nel Regno Unito e stavo lavorando nel cinema. Andai in Iraq per girare il mio primo film intitolato Ahlaam. Mentre camminavo per la strada sentii, dalla radio di un caffè, giungere una notizia da Babilonia: era stata trovata una fossa comune nei pressi di Babilonia. Pensai a mia zia. Mia zia perse suo figlio, Ali, durante la guerra Iran-Iraq, e non ne seppe più nulla. La ricordo piangere ai compleanni, ai matrimoni, nei momenti più felici, lei ricordava sempre Ali e piangeva. Da bambino chiedevo sempre perché piangesse, cosa ci fosse dietro al suo pianto, perché a quel tempo non ne avevo idea.

Mi venne l'idea di una madre che, con suo nipote, va alla ricerca del figlio che è scomparso durante la guerra. Decisi quindi di sviluppare questa idea e divenne la storia non di una madre araba, dell'Iraq arabo da cui provengo, ma di una madre curda, cosa che rendeva la storia più eccitante, più intensa.

Amra: Isabelle, potresti cominciare dall'inizio, dal primo anno?

Isabelle: nella fase di sviluppo, come ha detto Mohamed... pensavamo: “Ok, abbiamo questa grande idea! Sarà facilissimo.” Così, in modo un po' naif, credevamo di andare in produzione l'anno successivo. Mohamed pensava: “Certo farò come ho fatto con Ahlaam, scriverò il copione e comincerò la produzione!”

Entrambi sapevamo che stavolta l’aspettativa era diversa, che lui non stava facendo il suo primo film iracheno. Questo sarebbe diventato il suo secondo film ed egli non sarebbe stato giudicato per aver fatto un film sull'Iraq, sarebbe stato giudicato per aver fatto un film sulla sua terra. Sapevamo quindi che avremmo dovuto avere qualcos'altro.

Quando cominciammo lo sviluppo, andammo alla Screen Agency regionale e chiedemmo dei fondi. Ci chiesero: “Com’è che questo film può essere considerato dello Yorkshire?” Cosi mi scervellai e pensai: “Ritornerò da voi su questo punto.” Quindi decidemmo di lavorare un po’ di più sullo sviluppo.

Anche se questo è il racconto al contrario di come ottenemmo i fondi, Mohamed fu selezionato per il Sundance Lab che si svolge in Giordania. Si tratta di un laboratorio nel deserto, con i beduini, dove i cineasti arabi vivono una sorta di ritorno alle origini quando c’era l’idea di raccontare storie.

Appena tornato dalla Giordania, egli ricevette un invito per andare alla Sundance, nello Utah, dove avrebbe incontrato il Gotha dei consulenti per la sceneggiatura di Hollywood che avrebbero dato un'occhiata alla sceneggiatura. Non appena Sundance fu dei nostri - il progetto era sotto l'egida di Sundance - d'un tratto tutti cominciarono a chiedere: “Ok, di cosa tratta questo film?”

Ritornammo alla Screen Agency. A quel punto avevamo distaccato Antonia Bird, che è una regista inglese molto rinomata, come nostro produttore esecutivo. Lei aveva detto: “Tu non sei un produttore noto nel Regno Unito, quindi lascia che ti presenti io e capiranno che questo progetto ha valore”.

Allora tornammo alla Screen Yorkshire. Questa volta dissero: “Ok, possiamo trovare il modo di far funzionare questo progetto. Vi daremo del denaro per lo sviluppo. Dovete mandarci il vostro piano finanziario, il vostro budget, la prima bozza del copione e vi faremo sapere.”

Poiché sembrava che le cose si muovessero facemmo la stessa cosa anche con la UK Film Council. Dopo aver mandato la richiesta da più di diciotto mesi, alla UK Film Council non avevano memoria della nostra domanda. Chiesero al New Cinema Fund. Lì, appena Emma Clarke lesse del film, mi chiamò e disse: "Ok ragazzi, avete sicuramente qualcosa di interessante, dobbiamo solo capire come farlo funzionare. Venite a Londra e cominceremo a lavorare sullo sviluppo del copione". Ancora una volta, lo sviluppo della sceneggiatura si era rivelato una parte importante per ottenere i fondi poiché d'un tratto il nostro piccolo film iracheno iniziò ad assumere significato a livello internazionale. Cominciò ad avere un'attrattiva universale. L'influenza occidentale aveva sicuramente avuto il suo effetto.

Riuscimmo a superare l’iter con il Development Fund. Non fu facile. Come molti di voi sanno, l'Inghilterra è nota per essere burocratica e dovemmo inviare molti documenti. Il fondo per lo sviluppo arrivò. Nello stesso momento iniziammo a lavorare con Rachid Machuari, che Mohamed aveva incontrato in un viaggio di promozione dell'altro suo film Ahlaam. Rachid creò per noi un network. Lui lavorava in Francia con un produttore chiamato Dimitri de Clercq. Sebbene volessimo lavorare direttamente con Rachid, poiché a quel punto lo conoscevamo bene, egli dalla Francia non poteva avere accesso diretto al finanziamento perché, nonostante si trovasse lì, non era noto come produttore in quel Paese. Quindi fu quest’ultimo a promuovere il progetto con il CNC. Loro ci dissero: "Il progetto ci piace davvero molto. Stavolta abbiamo un sacco di richieste quindi non sappiamo se sarete selezionati, ma il vostro progetto ci piace davvero molto." Cosi aspettammo e aspettammo e…

Mohamed (ridendo): in pratica ce l’hanno respinto.

Isabelle: ce l’hanno respinto. Hanno chiesto a Mohamed di presentare tutti quei documenti e lui ci ha provato e ha cercato di far sembrare il progetto forte. Ma forse leggendolo hanno pensato: “Forse non hanno tanto bisogno del denaro come un'altra produzione.” È sempre questione di equilibrio tra il dimostrare di essere sufficientemente forti da poter realizzare il progetto e far capire che si ha bisogno del denaro. Non siamo mai stati in sincronia con questo.

Nel 2007 andammo alla Dubai Film Connection, era la seconda volta. Tutti dicevano: “Se vuoi soldi per la tua produzione, vai a Dubai”. Avevamo pensato: “Troveremo qualche sceicco, sarà facile e potremo cominciare a girare.” Questo non successe. C'erano tutte le persone che avevamo incontrato a Cannes ma in realtà nessuno aveva soldi, non funzionò.

Loro pensavano che fossimo un po' matti. Non ritornammo da Dubai con i soldi come avevamo sperato. Poi ci fu un incontro con la Roissy Film, grazie a Dimitri de Clercq e Raphaël … Credo che Raphaël prese subito in considerazione il progetto.

Amra: Raphaël, puoi dirci come mai ti unisti al progetto visto che, fino al tuo arrivo, avevano ricevuto piuttosto dei rifiuti?

Raphaël Berdugo - agente di vendita, Roissy Films: a proposito, non sapevo nulla di tutta l'intera storia.

Mohamed: non parliamo dei rifiuti.

Raphaël: se l'avessi saputo avrei rifiutato, naturalmente!

Incontrai Mohamed e Isabelle grazie a questo coproduttore francese. In effetti, la mia idea di vendita internazionale è particolare. Non credo che tutti sappiano che il mercato è difficile, al momento. Se volete vendere film d’autore, che è quello che facciamo noi alla Roissy Films, avete accesso ai grandi nomi, oppure non avete accesso ai grandi nomi, che è il nostro caso. La mia esperienza di vendita internazionale è che i film che ho venduto meglio erano sempre film dove gli autori erano sconosciuti e gli attori erano sconosciuti. Venivano dal nulla, infatti.

Naturalmente abbiamo avuto il sostegno di uno dei più famosi festival ma quello che cercavo ogni volta erano le storie, storie forti con un aspetto emozionale molto importante. Per fare un esempio, abbiamo venduto Caramel qualche anno fa, oppure Respiro, questo genere di film.

Così, quando incontrai Isabelle, volli conoscere Mohamed. Era un ragazzo molto simpatico molto disponibile ma io guardai quello che aveva fatto prima. Ciò che vidi fu un documentario, War, Love God and Madness. È un documentario che ti fa concludere che è da pazzi girare un film in Iraq: egli fu rapito, quasi ucciso mentre girava il suo primo film e racconta questa storia nel documentario. Quindi uno capisce quanto caotica fosse la situazione quando lui stava girando il suo primo film. Ho fatto vedere il documentario a Costa Gravas e lui è rimasto completamente sorpreso di come qualcuno potesse immaginare di girare un film laggiù.

Ma Mohamed voleva fare un film in Iraq e la storia, naturalmente, era piuttosto forte. Allora gli dissi che se avesse fatto un film laggiù, con questa storia naturalmente, sarebbe stato un evento davvero speciale - quest'anno è un anno importante per l'Iraq, come tutti sapete. Per me si trattava di raccontare la storia senza descrivere la guerra dell'Iraq - abbiamo avuto molti film sulla guerra dell'Iraq. Qui non siamo nel contesto della guerra ma della storia dell'Iraq. Mi è piaciuta anche l'integrazione della storia irachena più antica grazie al nome Babilonia. Babilonia è un nome che risuona nella mente di tutti.

Seguimmo questa produzione passo passo. Erano molto gentili con noi, abbastanza da fidarsi e farci partecipi di tutti i passaggi della produzione, siamo stati coinvolti nel montaggio fin dall'inizio.

Mohamed: ci siamo incontrati con Raphaël in Francia. È stato un incontro importante perché in quella sede abbiamo deciso il titolo del film. Avevo un titolo di lavoro. Poi parlammo di Son of Babylon, di Babylon, parlammo, parlammo, parlammo. Egli ci lanciò tre titoli e poi noi dicemmo: “Ok, è Son of Babylon”. Il lavoro insieme, insieme alla compagnia per la vendita del film, è stata una grande esperienza per me, era importante per noi, per me e per Isabelle, mettere soldi ed energia nel film.

Isabelle: e tu, Raphaël, ci hai dato molti consigli anche con la sceneggiatura, questo è stato molto importante, neanche sapevamo che si tratta di qualcosa che un agente di vendita fa. Tu conoscevi il mercato. Hai visto il film. Ha un finale piuttosto cupo. Avrebbe potuto essere molto più cupo, no? Beh, ci hai aiutato molto per questo, ci hai aiutato a raccontare la storia che volevamo raccontare ma senza distruggere emotivamente il pubblico.

Mohamed: abbiamo avuto delle incomprensioni, naturalmente.

Isabelle: all'inizio stavamo per lavorare con un'altra agenzia di vendita inglese. Ma in questo momento, nel Regno Unito, è molto difficile ottenere fondi per il genere di film che noi vogliamo, specie per film d’autore e i film stranieri. Nell'Europa continentale abbiamo trovato la maggior parte dei fondi accessibili per questo genere di film.

Mohamed: voglio essere franco, a Isabelle non piacerà ciò che sto per dire. Prima che cominciassimo la produzione, tra settembre e ottobre 2008 in Iraq, non avevamo molti soldi. Ci aspettavamo che la UK Film Council mettesse dei soldi nel film. Ma poiché avevamo deciso e creduto che Raphaël, la Roissy Company fosse una buona compagnia per la vendita, è andata a finire che non abbiamo avuto i soldi dalla UK Film Council: "Avete una compagnia di vendita, non è giusto che noi vi diamo soldi ora". Così mentre stavo andando in Iraq Isabelle mi chiama e mi dice: "La UK Film Council non metterà soldi nel film". Questo è stato per me un vero disastro, andare in produzione senza i soldi della UK Film Council. Ma quella fu una sfida che affrontammo più tardi, durante la produzione e post produzione.

Isabelle: credo, comunque, che sia stata allo stesso tempo anche una benedizione, perché se la UK Film Council fosse stata coinvolta durante le riprese, avremmo dovuto sottostare a troppe regole e regolamenti extra. Quando si gira in Iraq non ci sono regole. Non si può restare fedeli a un piano finanziario preciso, sulla carta è possibile e sai quando i soldi stanno per arrivare, ma i soldi non arrivano mai. Stai facendo affidamento su finanziatori e su venti firme diverse. Quando vai in produzione devi farlo, non importa cosa può succedere e non puoi essere limitato da un fondo che dice: “Beh, a meno che … se…”

Amra: puoi spiegare quanti soldi avevate all'inizio della produzione, quando stavi per cominciare la produzione di un lungometraggio in Iraq…

Isabelle: 50 000 euro! Dovevamo comprare la pellicola. La compravamo di settimana in settimana, e questo non funziona con la Kodak. Abbiamo dovuto comprarla dal distributore iraniano che non parlava arabo e quindi non poteva comunicare con Atea. E parlare con l'Iran era più difficile che parlare con Atea in Iraq. Così per avere la pellicola ci volevano tre settimane di tempo e talvolta giravamo fino all'ultimo fotogramma.. …

Mohamed: prima di arrivare a questo, credo sia importante parlare di quello che stavate chiedendo. Avevamo programmato di investire in Iraq tre mesi per la produzione, per girare in quarantotto giorni. Avevamo un gran bel programma, molto ben organizzato. Andai in Iraq con 50 000 euro, questo è quanto avevo in tasca. Avevo bisogno di fare le riprese in più di otto città e chiesi più di 1000 artisti di supporto che dovevo pagare giornalmente e una troupe di circa quarantacinque persone. Avevo una troupe francese e una inglese venne con me nel nord dell'Iraq. Li sistemai in un bell’ hotel perché non potevano stare con il resto della troupe irachena in una sistemazione normale e dovetti organizzare tutto io. Atea ed io dovemmo gestire il denaro.

Amra: puoi spiegare il coinvolgimento o il non-coinvolgimento del governo e del Ministero iracheno?

Mohamed: con il mio produttore in Iraq abbiamo lavorato con il governo iracheno sperando di ottenere un aiuto da loro. Oggi in Iraq non c'è industria cinematografica, non ci sono infrastrutture. Non c'è un’organizzazione per i finanziamenti come c'è qui in Europa. Così sono andato presso diverse organizzazioni per il cinema e il teatro e ho chiesto loro dei fondi.

Hanno respinto la nostra richiesta dicendo: "Non abbiamo soldi". Allora sono andato dal ministro della Cultura iracheno e gli ho detto: “Senti: il mio primo film è andato in più di 100 Festivals. Questo film, questo soggetto è importante". Ci hanno ripetuto: "Non abbiamo soldi". "Non abbiamo soldi per i film e per il cinema".

Allora sono andato più in alto, dal Primo ministro dell'Iraq. Ci sono voluti due mesi considerando il network e i contatti per arrivare all'ufficio del Primo ministro. Avevamo lavorato con il consigliere del Primo ministro, il consigliere per i media, e lui era soddisfatto della storia. Avevamo preparato un contratto perché loro non sapevano di che tipo di contratto ci fosse bisogno. Così abbiamo preparato un contratto specifico. Il giorno in cui stavamo per firmare, mi siedo nel suo ufficio ed egli, faccia a faccia mi dice: “Siamo per darvi 250 000 $, ma a una condizione: dovete cambiare il personaggio principale da una madre curda ad una araba”. E io dico: "Cosa?" Volete che io cambi il personaggio principale sul quale è costruito tutto il film…?”

E lui: "Abbiamo problemi con il governo regionale sulla percentuale, loro vogliono il 20% e noi il 50% e ci stanno dando un sacco di problemi ed io non voglio che questo film parli di una madre curda, voglio che parli di una madre araba". Allora io gli ho detto: "Grazie".

Sono andato dal governo della regione, il governo curdo. Loro hanno guardato la sceneggiatura. Al ministro della Cultura la sceneggiatura piaceva. L’ha data ai suoi consiglieri. Loro ci hanno dato un'occhiata e hanno detto: “Questo è un film di propaganda per il governo della regione araba a Baghdad e non possiamo darvi i 200 000 $;.

E io: "Avete portato un regista iraniano a fare un film per voi qui, gli avete dato 500 000 $ e non sostenete qualcuno della vostra gente che vuole fare un film su di voi. Il mio personaggio principale e i personaggi vengono dal nord ed io sto girando al nord.” E lui: "Devi cambiare i personaggi e la storia".

Allora portai il mio caso al Presidente dell'Iraq, che è curdo: “Forse possiamo darti 100 000 $ ma fammi parlare con il consigliere del Primo ministro perché non vogliamo avere problemi”. Era il periodo di Ramadan. Dovevano digiunare e si incontrarono ogni giorno. Alla fine mi disse: "Non sono riuscito a convincerlo, non vuole aiutarti". "Molte grazie" gli risposi dissi. Dall'Iraq non ottenemmo neanche un centesimo.

Alla fine dovemmo cercare i soldi da soli. Portai privatamente molti soldi da banche olandesi, come la Radobank. Due organizzazioni mi hanno aiutato: Hivos in Olanda e Dune. Avevo lavorato con loro per il primo film. Ho lavorato con loro per formare giovani cineasti iracheni e anche in altre occasioni.

Così dissero che avrebbero voluto aiutarci. Quello che cerco di fare nei miei film è di coinvolgere giovani iracheni che non hanno nulla a che fare con il cinema e di formarli. Li porto nel Regno Unito e in Francia a fare dei corsi. Hivos e Dune mi dissero: “Ok, se tu li formi noi investiamo nel tuo progetto”. Il denaro arrivò più avanti nella fase di produzione, misero 40 000 euro, che è tanto. Così arrivammo a 90 000 euro, che per noi era fantastico.

Isabelle: grazie al fatto che facciamo formazione, mentre giravamo il film riuscimmo ad avere il fondo Malweed, dall'Egitto. Ci aiutarono. La UK Film Council contrattò un investimento e, nonostante sia uno strano modo di ottenere investimenti, trovarono un modo di finanziare anche il corso di formazione poiché lo videro come un modo di finanziare la coproduzione. È solo una piccola somma ma è stata d’aiuto.

Mohamed: ci sono stati molti ritardi e molti cambiamenti nel programma. Dovetti stare una settimana nel sud dell'Iraq senza girare perché non c'era pellicola. Non c'erano soldi per coprire i contratti giornalieri, e si ruppe la cinepresa. Abbiamo avuto davvero momenti difficili. Avrei dovuto girare 45 giorni in due mesi e mezzo. Alla fine ce l'ho fatta in cinque mesi, girando 65 giorni.

Le cose cambiarono dopo che mandai dei “footage” a Isabelle che li guardò e li mandò alle varie organizzazioni. Non siamo mai riusciti ad ottenere Sundance. Sundance mi aiutò a sviluppare la sceneggiatura, controllava come andava la produzione, quando Isabelle mandò loro del materiale di “footage” dal nord. Poi un giorno chiamarono Isabelle - sono stati davvero momenti difficili. Quando dico momenti veramente difficili: un giorno c'era una scena che coinvolgeva 500 donne, e non è facile trovare 500 donne che lavorino in un film, in Iraq. Ho sempre insistito nel volere delle donne. Davo agli uomini 20 $ al giorno. Alle donne ne davo 28 $ perché voglio incoraggiare quel tipo di lavoro loro. Impegnammo per quattro giorni 400 donne che non vedevano arrivare il loro salario giornaliero. Il mio produttore mi lasciò nel mezzo del deserto e sparì per due giorni. Allora una donna venne da me e mi chiese: "Cos’ è successo? Dove sono i nostri soldi? Cosa vuoi fare?” Ciò che feci fu - la mia protagonista è una donna fantastica, molto brava a parlare con organizzazioni – ciò che feci fu di mettere lei a parlare con le donne, lasciare che spiegasse loro la situazione e che le convincesse. Poi Isabelle ricevette una telefonata da Sundance.

Isabelle: non avevamo soldi. Io mi trovavo in Inghilterra. Se tu paghi un po' di soldi il governo è abbastanza gentile da darti un credito, che è di circa cinquanta sterline extra a settimana. Così stavo vivendo di queste 50 £ settimana. Poi quelli di Sundance chiamarono e dissero: “Abbiamo visto il footage…” - a proposito, Mohamed ha dimenticato di dirvi che non mi permetteva di mostrare il footage fino a che non avesse completato e montato il film. Ma non c'era modo di ottenere denaro in un altro modo senza poter mostrare il footage. Così ho fatto vedere qualche footage a Sundance. E loro ci hanno mandato una mail dove dicevano: “Il footage è fantastico, etc.” e io stavo pensando: “Oh dio! Mohamed mi sgriderà!!!”

Quelli di Sundance dissero: “Ok, diteci quello che vi serve, scrivete una lettera e diteci quello che vi serve”. Spedii una lettera completa di tutto ciò che ci era capitato durante la produzione. Loro furono molto dispiaciuti per noi: “Saremo in grado di darvi 15 000 $;. Questo succedeva in un giorno in cui, nel conto in banca, eravamo a meno 10 000 $ se non peggio e a meno 50 000 $ nel suo conto.

Stavo partecipando ad una conferenza telefonica in una grande stanza per conferenze a Los Angeles e mi misero in vivavoce ed io scoppiai in lacrime – e non lo faccio mai – scoppiai in lacrime perché ci avevano dato il denaro. Chiamai Mohamed e lui mi disse: "Perché piangi? Sono solo 15 000 $;. E poi si rese conto che in effetti aveva abbastanza soldi per pagare queste donne e allora fu lui a scoppiare in lacrime.

Mohamed: è bello vedere il contrasto tra quanto fu difficile durante la produzione e quanto bello fu durante la post produzione.

Fu davvero bello. Il denaro arrivava da nord, da sud, da est e da ovest. Seduto nella mia stanza di montaggio dicevo "Egitto, Arte, Cine Land Arte" - Cine Land Arte stava trattando durante la produzione per firmare un contratto per la distribuzione araba. Firmammo il contratto tardi, durante la produzione, ma il denaro arrivò durante la post produzione.

Tutti stavano entrando nel progetto: la UK Film Council, il Netherlands Fund, il fondo per i media di Rotterdam. All’inizio il Netherlands Fund ci rifiutò. Ci dissero: "Dovete girare in Olanda". E io avevo detto: " Io sono anche olandese e fiero di esserlo." Ma loro insistevano: " Non possiamo riconoscerti come produttore olandese. Devi girare in Olanda. Devi fare un film olandese.” E io: "Ho una compagnia in Olanda. Ho avuto un finanziamento olandese per il mio primo film." Ma loro: "No, è difficile". Poi, quando videro il footage e la gente coinvolta ci diedero i soldi. È stato fantastico.

Isabelle: abbiamo ricevuto finanziamenti anche dal MEIFF, il Middle East International Film Festival. Hanno messo a disposizione un finanziamento proprio nello stesso momento in cui noi avevamo bisogno di soldi per la post produzione. Così questo fu l'aiuto da parte dei festival durante la fase di post produzione, specie dal medio oriente, e fu il primo.

Amra: puoi parlarci un po' di più della fase di produzione? C'era una troupe internazionale con te. Ma il film fu terminato con loro. Puoi raccontarci di quella esperienza?

Mohamed: era la mia prima esperienza con una troupe internazionale in Iraq. Avevamo bisogno di una troupe francese per coprire il fondo di CNC. Fa parte del regolamento. Così abbiamo avuto alcuni contatti con una troupe francese. C'erano un tecnico del suono, un DOP e un fotografo francesi, un truccatore, uno scenografo e un coproduttore dal Regno Unito, Donny Hevens, e un art designer dall'Iraq.

Abbiamo cominciato al nord, dove pensavamo fosse più sicuro. Abbiamo iniziato con il workshop perché avevamo bisogno di formare gli iracheni, dovevamo studiare il copione e programmare con la troupe irachena. Ho avuto l'impressione che forse gli inglesi non ce l'avrebbero fatta a continuare. La comunicazione non era facile. Alcuni iracheni non parlavano inglese e i francesi non sempre parlavano inglese.

Il 10 ottobre 2008 iniziai a girare, ma tremavo. Ero stressatissimo. Ci trovavamo in questo deserto in montagna, nel nord dell'Iraq. Girammo le prime riprese e fu una sorta di sollievo perché avevo dovuto fare uno sforzo per cominciare.

Dieci giorni più tardi facemmo i primi dieci minuti. Io lavoro con attori non-professionisti quindi ho dovuto lavorare scena per scena, seguendo il copione. Quando stavamo per spostarci a Baghdad e da lì al sud dell'Iraq, quelli della troupe inglese dissero che volevano tornare nel Regno Unito. “Va bene lo capisco.” Dissi io. E la troupe inglese partì.

Poi ci fu la squadra francese. Avevo bisogno della loro esperienza.

Andammo a Baghdad. Li portai dall'aeroporto all'hotel. Il ministro dell'Interno iracheno ci diede massima protezione e circa dieci auto della polizia. Quelli della troupe francese dissero: "Cosa sta succedendo qui, cosa c'è?" e io risposi: "Volete una protezione completa, io vi faccio avere una protezione completa". Ma era uno show. L'intera strada era stata bloccata per far passare il convoglio.

Il giorno seguente li portai all'ambasciata francese. All'ambasciata non sapevano nulla del film, sembra che il nostro coproduttore francese non avessi comunicato in modo appropriato con il ministro degli Esteri francese e con l'ambasciata francese. L'ambasciatore arrivò e ci disse: "Cosa fate qui?" e noi: "Stiamo girando un film. Siamo finanziati da Fonds Sud. Fonds Sud è un'organizzazione che fa parte del dipartimento di stato". E loro: "No, non farete un film in Iraq, dovete andarvene, non starete in Iraq, è molto pericoloso qui, c'è stata un'autobomba a un miglio da qui. Voi vorreste fare un film ma io non posso proteggervi, non posso fare niente per voi.”

Allora ebbi un colloquio di tre ore con l'ambasciata. Avevo un fortissimo mal di testa. Ero seduto per terra, fumavo, loro parlavano in francese, che io non capisco, e non sapevo cosa stesse succedendo.

Poi il consigliere mi guardò e mi parlò in arabo - ho scoperto che parlava arabo. E disse: "Cosa fai qui? Non voglio problemi." Io dissi: "Il mio coproduttore non ha fatto niente, non ha stabilito alcun contatto".

Quindi tornammo all'hotel, avevo sempre un mal di testa terribile, durò due giorni. Uno della troupe, Dan, venne e mi disse: "Non m'importa, io resto". Gli altri due: “Beh, l'ambasciata francese non vuole veramente avere problemi.” Dopo sei giorni fermai la produzione e loro partirono.

Ho provato a forzare gli iracheni a darci dei tecnici del suono e la squadra per le riprese, non importa quale fosse la loro esperienza o equipaggiamento. Per fortuna sono un cineasta quindi iniziai a girare il film e poi loro se ne andarono.

Per me fu un momento molto triste, perché sentii che mi avevano lasciato solo come regista. Avevo bisogno di aiuto e protezione. Avevo bisogno di feedback per andare avanti. Andammo avanti. Il corso di formazione iracheno andò molto bene e il team iracheno era fantastico.

Il tecnico del suono era fantastico. Dovevamo fare una ripresa in una macchina e in un bus, e la macchina era in movimento. In quella scena, il tecnico del suono francese aveva messo molti microfoni intorno alla macchina. Allora io devo girare la scena successiva più tardi, a Baghdad. Guardo il tecnico iracheno, è giovane, ha 21 anni. L'ho visto fare la stessa cosa con i microfoni e gli chiedo: “Ahmed, tutto bene?” “Bene” mi risponde “Ho lavorato con François, tutto bene” e ci ha dato un suono favoloso.

Raphaël: quello che mi ha convinto a unirmi al film è stata la personalità di Mohamed. Naturalmente il documentario era davvero di grande effetto perché si poteva vedere il talento di questo ragazzo. Ma egli era davvero spinto dalla sua passione. Tutti lo sconsigliavano di ritornare in Iraq dopo aver visto le condizioni del suo primo film. Lo ha detto lui stesso, era da pazzi. Questa è l'unica parola si potesse dire in quel momento. Fortunatamente la situazione ora in Iraq è meno pericolosa di due o tre anni fa. Tre anni fa non avremmo potuto girare questo tipo di film. La personalità di questo ragazzo e la sua voglia di fare il suo film in qualunque condizione o situazione finanziaria erano impressionanti. Penso che abbia avuto troppi soldi. Avrebbe potuto fare il film come Paranoid Park per 15 000 euro, perché era molto motivato e questo è qualcosa da sapere su di lui: avrebbe fatto il film a qualsiasi costo.

Amra: Isabelle, dicci qual era il tuo budget originale, il tuo piano finanziario iniziale e quale fu il budget finale?

Isabelle: all'inizio pensavamo di poter fare il film per 600 000 euro. Dato che ci siamo spostati in sette diverse città, il nostro piano finanziario fu di oltre 1 milione. Durante la produzione non ci fu il tempo di capire come stava andando finché non arrivammo alla fine. Una gran parte delle spese fu utilizzata in fase di post produzione. Avevamo il migliore sound design, il miglior laboratorio.

Durante la produzione abbiamo scoperto che l'accordo del nostro lab era fallito in Marocco. Non funzionava con il sistema con cui stavamo girando. Noi giravamo in 3-perf. Allora dovemmo rivedere i nostri accordi di post produzione. Il nostro coproduttore nel Regno Unito, che è anche il nostro supervisore di postproduzione, Danny Evens, ha lavorato rigorosamente con Technicolor per trovare un accordo. E così loro ci hanno detto: “Ok, aspetteremo finché non avrete i soldi così potrete fare la postproduzione che volete”. In questo modo ci siamo riusciti.

Il budget è così arrivato a 1,1 milioni. Stiamo ancora aspettando il resto delle piccole somme che sono pagate alla consegna. Ma alla fine siamo riusciti a soddisfare le nostre aspettative, anche se è un peccato che tutti quei soldi non siano arrivati in produzione, dove avrebbero fatto un'enorme differenza.

Mohamed: ma i nostri salari non sono ancora stati pagati... Ho fatto un film non solo per il gusto di fare un film. Per me è molto importante fare un film, fare cinema e arte, per me stesso e per la mia famiglia. In realtà non m'importa dell'Iraq, è un pezzo di terra. Per me l'Iraq è mia madre, mio padre, i miei figli, mia nipote e mio nipote. Ecco perché era importante per me fare un film. È il motivo per cui ero disposto a tutto. Il mio produttore è arrivato a vendere la sua auto e dei terreni per far fronte alle spese. Poiché non aveva comprato un'auto o qualcosa di simile, abbiamo finito per spendere in Iraq 500 000 $ per far fronte alle spese di produzione. Credevamo nel prendere prestiti, ottenere i soldi in ritardo.

E il modo in cui Isabelle ha sapientemente strutturato il lato finanziario … quando ho letto i contratti in inglese non ho capito nulla. Isabelle ha fatto del suo meglio per ridurre la burocrazia.

Isabelle: avevamo contratti in 5 lingue, quindi google translator era il nostro miglior amico…

Mohamed: sono felice, ma se mi chiedete di scegliere tra fare una coproduzione con 7 paesi con un budget di 1 milione o una con un solo paese con un budget di 600 000 di sicuro preferisco un solo paese e riduco le riprese…

Case study: pdf Son Of Babylon

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