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BERLINALE 2018 Panorama / Tribeca 2018

Recensione: La enfermedad del domingo

di 

- BERLINO 2018: Ramón Salazar infonde bellezza, dolore, tristezza e tensione al suo quarto lungometraggio, il più maturo e sofisticato della sua carriera

Recensione: La enfermedad del domingo
Susi Sánchez e Bárbara Lennie in La enfermedad del domingo

Il silenzio ostinato dell'altra persona o l'elusione della verità, quando si cercano risposte, pesa come un macigno e lascia cicatrici. Questo è uno degli intensi argomenti affrontati dal regista di Malaga Ramón Salazar (1973) nel suo quarto lungometraggio, La enfermedad del domingo [+leggi anche:
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, presentato in prima mondiale nella sezione Panorama del 68° Festival di Berlino, tre giorni prima della sua uscita nei cinema spagnoli. Salazar torna alla rassegna tedesca 16 anni dopo aver gareggiato nella sua sezione ufficiale con il suo primo lungometraggio, Piedras, un film corale che dista diametralmente, nel suo linguaggio e nella sua scommessa cinematografica, da quello attuale: il regista dimostra ora una maturità elegante, misurata e sensibile che evita come la peste la sottolineatura, gli esibizionismi stilistici e quel bisogno di scaricare mille inquietudini tipici di un’opera prima.

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Susi Sánchez, già presente in Piedras in un piccolo ruolo e tra i protagonisti di 10.000 noches en ninguna parte [+leggi anche:
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, il precedente lavoro da regista di Salazar, appare nelle prime sequenze di La enfermedad del domingo come la Tilda Swinton di Io sono l’amore [+leggi anche:
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, ma con qualche anno in più, mentre passeggia maestosa, come una pantera dominante, in un palazzo di Barcellona. È Anabel, una fredda signora dell'alta società che concentra tutti i suoi sforzi, il suo cervello e la sua volontà nel mantenere il suo status. Ma a cena quella sera, qualcuno che non obbedisce ai suoi ordini e calcoli, che esce dal seminato da lei attentamente tracciato, aprirà una ferita che credeva avesse chiuso o almeno controllato.

Bárbara Lennie incarna Chiara, una ragazza emotivamente instabile da quando un evento traumatico, avvenuto durante la sua infanzia, l'ha trasformata in ciò che è: una persona incompleta, ferita, triste e insoddisfatta per sempre. L'incontro tra questi due animali corazzati apre in La enfermedad del domingo una sorgente sotterranea di emozioni represse (che fanno appello al senso di colpa, la redenzione e l'abbandono) che l’ammirevole e intelligente polso narrativo di Salazar porta al confine tra il thriller psicologico e il dramma familiare, senza mai cadere nel facile, prevedibile o lacrimevole.

Se Paul Thomas Anderson è stato il modello del cineasta spagnolo al suo debutto, ora sembra che sia Ingmar Bergman (i suoi Persona e Sinfonia d'autunno soprattutto) come il summenzionato Luca Guadagnino ad essere nel DNA di questa “malattia della domenica” di cui il regista stesso, come il personaggio di Chiara, ammette di soffrire: una malinconia infinita lo invade quel giorno della settimana, al tramonto. La stessa che si respira in questo film minimalista e intimo, in cui il paesaggio invernale che circonda i personaggi (efficacemente ritratta da Ricardo de Gracia, direttore della fotografia di altri film di Salazar, come 20 centímetros [+leggi anche:
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) non fa che rafforzare questo stato d’animo.

La enfermedad del domingo, sceneggiato e diretto da Ramón Salazar, montato dalla veterana Teresa Font (Las furias [+leggi anche:
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) e con le musiche originali di Nico Casal (María y los demás [+leggi anche:
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intervista: Nely Reguera
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), è prodotto da Zeta Cinema e On Cinema 2017, con la collaborazione di RTVE, TV3, ICAA, ICEC e ICO. Il film esce nelle sale spagnole distribuito da Caramel Films.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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