email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

FILM / RECENSIONI

La bocca del lupo

di 

- Applausi alla Berlinale e il premio per il miglior film al Festival di Torino per un docufiction di violenza e amore in una Genova tra passato e presente

È italiana, la prima sorpresa di un festival (al momento) in tono minore: in concorso al Torino FF passa oggi La bocca del lupo [+leggi anche:
trailer
intervista: Pietro Marcello
scheda film
]
(dal titolo di un romanzo verista di Gaspare Invrea), il film che Pietro Marcello ha dedicato a Genova (“prima non la conoscevo bene, gli unici ricordi erano i racconti di mio padre, marittimo meridionale che si imbarcava spesso da lì, e la descriveva come la sua città ideale”) e alla sua umanità più marginale, l’esercito di “ultimi” che abita ancora i caruggi scrostati del centro storico, quel dedalo intricato di strade strette come feritoie, dove – per dirla con Fabrizio De Andrè, che di questi luoghi fu il cant(aut)ore – “il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Sfugge a qualsiasi affrettata classificazione l’opera seconda di Marcello – dopo il bel Il passaggio della linea, sul popolo notturno dei treni espressi – che tra documentario e mélo racconta la storia d’amore (vera) di Enzo, che per aver sparato a due poliziotti si è beccato vent’anni di galera, e Mary, tossicodipendente che solo quell’uomo poteva strappare all’eroina. Due a cui la vita sembrava aver tolto tutto, a cominciare dalla libertà: poi l’incontro, in carcere, che li cambia, perché lui, così possente da far tremare anche i secondini, è un animo sensibile che si commuove vedendo Bambi, e Mary, dopo aver scontato la sua pena, ha tutta l’intenzione di aspettarlo.

Oggi sono liberi, e possono raccontare a due voci, seduti fianco a fianco, il loro primo incontro, i pantaloni a cui fare l’orlo in cambio di qualche sigaretta. Per vent’anni, invece, furono costretti a un dialogo a distanza, affidato ai “Ti amo, bastarda/o” incisi e poi spediti sulle musicassette che adesso fanno da scheletro sonoro e narrativo a questo film che non somiglia a nessun’altro. E che – proprio come i suoi protagonisti – vola alto su generi e convenzioni, racconta il privato con ammirevole pudore, e mostra con altrettanta lucidità (e un po’ di nostalgia) come sono cambiati i luoghi che a quel sentimento, a quelle storie individuali, hanno fatto da sfondo: lo fa attraverso filmati di repertorio (complimenti a Sara Fgaier, che li ha scelti e montati) che pescano negli archivi dei cineamatori come nel cinema professionale, d’autore e di genere, per restituire – tra sparatorie, dancing e tuffi, non solo metaforici, nel passato – le molte identità di una città industriosa, resistente, operaia, viva, che probabilmente non c’è più.

Che un’opera così personale nasca in qualche modo “su commissione” è un ulteriore segnale d’intelligenza: del committente (i gesuiti della Fondazione San Marcellino, impegnati dal ’45 nell’assistenza agli emarginati e ai sofferenti di Genova, che hanno sostenuto La bocca del lupo anche se non ne racconta tanto l’attività diretta, quanto il mondo a cui si rivolge) e dell’autore, anche produttore (con la neonata L’Avventurosa Film, fondata insieme al critico cinematografico Dario Zonta) insieme a Indigo Film e in collaborazione con Rai Cinema e Babe Films. La distribuzione italiana è affidata a Bim.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy