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BERLINALE 2013 Concorso / Francia

La Religieuse: un’anima in cerca di libertà

di 

- Guillaume Nicloux rivisita con talento l’opera di Diderot sulla lotta di una giovane donna reclusa contro il suo volere in un convento nel XVIII secolo

E’ nel cuore di un destino tragico e appassionante che il cineasta francese Guillaume Nicloux ha immerso oggi gli spettatori della 63ma Berlinale con La Religieuse [+leggi anche:
trailer
intervista: Guillaume Nicloux
scheda film
]
, presentato in competizione. Adattato dall’opera omonima di Diderot, già portata sullo schermo da Jacques Rivette nel 1967, il film si rivela un mix ben riuscito tra opera romanzesca con risonanze moderne e racconto crudele filosofico-religioso intorno al tema della libertà, dissimulando abilmente diversi livelli d’interpretazione. Retta dalla performance di Pauline Etienne, ben affiancata da Françoise Lebrun, Louise Bourgoin, Isabelle Huppert e Martina Gedeck, questa nuova versione di La Religieuse brilla anche per la bella messa in scena, che mette in risalto un regista che si era un po’ perduto dopo i promettenti esordi.

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Siamo nel 1765, nel castello del barone di Lasson e suo figlio comincia la lettura della raccolta di memorie di Suzanne Simonin. Una voce off introduce un flashback che ci rimanda due anni indietro nella famiglia di Suzanne (Pauline Etienne), giovane donna felice e graziosa che suona il clavicembalo. Nell’esaltazione di fine adolescenza, la sua fede ("amo il Cristo e soltanto lui"), che lascia sua madre scettica, la proietta dritta in convento. Ed eccola in trappola: la ragazza si rende conto del suo errore ("non ho alcuna propensione per lo stato religioso") mentre capisce che, al contrario, la sua famiglia vuole che prenda i voti. Comincia così una lunga battaglia in cui Suzanne, in preda al dispiacere e alla disillusione, si batte per ritrovare la libertà. Una vera via crucis della ribellione, tanto più dilaniante quando la ragazza scopre di non essere figlia di suo padre e che la sua reclusione religiosa è una sorta d’espiazione per il peccato di sua madre.

Subendo crescenti pressioni che vanno dai consigli di portare pazienza agli appelli di solidarietà ("i tempi sono duri", "la tua famiglia si sta rovinando per le tue due sorelle") passando per vere e proprie sevizie fisiche e psicologiche (ostracismo, perquisizioni, segrete, ricatti, minacce, sputi, accuse di possessione demoniaca, obbligo di camminare su vetri rotti, ecc.), Suzanne tenta in segreto di far annullare i suoi voti dal Papa. Ma deve prima sopravvivere ("sento che vogliono la mia vita") al suo statuto di ribelle in seno a un’istituzione in cui lo spergiuro è assimilato a un crimine ("camminatele sopra, non è che un cadavere") e in cui le regole più severe nascondono tante eccezioni.

Intorno alla domanda "E’ di sua spontanea volontà che è qui?", Guillaume Nicloux tesse un racconto accattivante, che dà la sua piena misura attraverso l’intensità della lotta disperata della sua protagonista, che si aggrappa alla propria verità interiore per continuare a sperare di sfuggire all’abisso in cui è sprofondata. Riflesso di una fede pura oppressa da un’istituzione religiosa e dal giogo sociale, il film dà materia di riflessione in un'epoca come la nostra in cui non mancano tensioni religiose.

Cosparso di simboli discreti, La Religieuse alimenta diverse piste di analisi, sotto una superficie che privilegia (a ragione) l’efficacia narrativa ed emotiva concentrandosi sul quotidiano della sua protagonista. Grazie a splendide luci (di candela), a un lavoro raffinato sul suono, a una cinepresa che scruta la profondità dei volti (privi di trucco) e a un montaggio astuto, il film fa una ricostruzione molto suggestiva della vita in convento (grate dei parlatori, disciplina del refettorio, cori ammalianti). E a dispetto di un’ultima parte un po’ sbrigativa, questa nuova versione dell’opera di Diderot dimostra con talento l’atemporalità di un soggetto estremamente cinematografico: la lotta contro l’ingiustizia.

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(Tradotto dal francese)

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