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FILM / RECENSIONI

Io sono l'amore

di 

- Un racconto sulla vita, i valori, le crudeltà e l'etica delle grandi famiglie industriali italiane, accolto con favore da pubblico e critica ai festival di Venezia, Toronto, Pusan e Sundance

Un mélo patinato che esalta il punto di vista femminile per Luca Guadagnino, che con Io sono l'amore [+leggi anche:
trailer
intervista: Luca Guadagnino - regista
scheda film
]
ha portato a compimento un progetto a cui da anni stava lavorando assieme alla sua amica Tilda Swinton. E il film è proprio ritagliato sul corpo iconico di Tilda come un abito di Fendi (il cui direttore creativo Silvia Venturini Fendi è coproduttore del film con lo stesso regista, Mikado e RAI Cinema).

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Guadagnino aveva già calibrato gli obiettivi della sua macchina da presa sull'attrice di culto del cinema indipendente scoperta vent'anni fa da Derek Jarman, con l'insolito The Protagonists, presentato proprio qui alla Mostra di Venezia nel 1999, e con il documentario-omaggio Tilda Swinton - The Love Factory (Venezia , "Nuovi Territori" nel 2002), in cui l'attrice britannica esprime i suoi pensieri su cinema, solitudine e amore.

Cinema, solitudine e amore sono i temi al centro anche di Io sono l'amore, in cui Tilda è Emma, la moglie di origine russa dell'erede di un impero tessile a Milano, Tancredi Recchi (Pippo Delbono). La donna sembra congelata nel suo ruolo di appartenente ad una ricchissima famiglia della grande borghesia industriale lombarda, i cui membri si muovono con disinvoltura tra le stanze della villa immersa nell'atmosfera ovattata di una città ricoperta da una spessa coltre di neve.

Guadagnino, più attento alla messa in scena che alla direzione degli attori, conquista lo spettatore con l'eleganza delle immagini e gli ampi e lenti movimenti di macchina, soffermandosi a lungo sulle scene cruciali (la fotografia è di Yorick Le Saux, che ha collaborato con François Ozon e Olivier Assayas). Edoardo (Flavio Parenti), il figlio di Emma e Tancredi, introduce in casa Recchi un amico conosciuto giocando a tennis, Antonio (Edoardo Gabriellini), un giovane cuoco lontano mille miglia dall'ambiente della famiglia Recchi. Emma sente immediatamente un'affinità elettiva e si lascia conquistare dalla semplice ed essenziale energia del giovane. Fino al tragico epilogo, che ricorda molto da vicino quello de Il danno di Louis Malle.

Il riferimento più diretto sembra però Visconti e il melodramma postmodern di Todd Haynes, che a sua volta si rifà al cinema di Douglas Sirk. Guadagnino mostra tutta la forza della sua cultura cinematografica a cominciare dagli attori: accanto a Tilda Swinton, nel ruolo del patriarca c'è Gabriele Ferzetti, che rappresenta 60 anni di cinema italiano (da Blasetti ad Antonioni e Sergio Leone); Marisa Berenson (avere un'attrice che ha lavorato con Kubrick , Visconti e Bob Fosse è probabilmente il sogno di molti giovani filmmaker); lo spiazzante Pippo Delbono, uno degli autori e attori teatrali più anticonvenzionali del momento in Italia; Alba Rohrwacher, che si avvia a diventare una vera e propria figura di culto con il suo corpo attoriale al di là di ogni demarcazione (infatti è una credibilissima figlia di Emma/TildaSwinton).

La sceneggiatura, alla quale hanno collaborato Barbara Alberti e Ivan Cotroneo, dà battaglia alla freddezza delle immagini cercando l'empatia necessaria, ma l'omosessualità liberata del personaggio di Alba Rohrwacher e la bucolica scena di sesso tra i due amanti Emma e Antonio potrebbero non essere sufficienti a dare allo spettatore lo choc della sorpresa.

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