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FILM / RECENSIONI

A Royal Affair

di 

- Avventura, intrighi e tragedia nel regno di Danimarca sullo sfondo della lotta tra progressisti e conservatori. Premio del miglior attore e della miglior sceneggiatura a Berlino.

Al suo quarto film da regista, il danese Nicolaj Arcel ha dimostrato ancora una volta, con il titolo che ha presentato a Berlino in concorso, A Royal Affair [+leggi anche:
trailer
intervista: Nikolaj Arcel
scheda film
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, che il duo di sceneggiatori che forma insieme a Rasmus Heisterberg è perfettamente rodato (a loro si deve il successo internazionale Millennium).

Dopo l'adattamento King's Game, che parlava di lotte di potere in un contesto contemporaneo, Arcel s'ispira questa volta a un romanzo di Bodil Steensen-Leth per narrare la storia d'amore vissuta alla fine degli anni 1760 tra la regina di Danimarca d'origine inglese Caroline Mathilde (Alicia Vikander), sposata ancora adolescente al ciclotimico e debosciato re Christian VII (Mikkel Boe Følsgaard), e il medico personale del re, il progressista tedesco Johann Friedrich Struensee (Mads Mikkelsen). Tra il suo inizio classico e la sua pudica conclusione tragica, A Royal Affair racconta anche come Struensee, forte della sua influenza sul re folle, abbia liberato la Danimarca dai suoi crudeli arcaismi medievali per traghettarla nell'età dell'Illuminismo.

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Il lungometraggio è riuscito perché trascende il genere del film in costume abituale grazie a dialoghi e situazioni audaci e spiritose, spesso dovute alle eccentricità del re e alla sua lascivia. Arcel non esita infatti a declinare in vari modi il motivo sessuale presente nel film, soprattutto nella prima parte, prima che una cospirazione degna del Giulio Cesare metta fine perfidamente a quello che sembra troppo bello per essere vero.

I capricci di Christian danno infatti vita a scene succulente, come lo scambio di citazioni shakespeariane tra il re e Struensee, e le inenarrabili scene del Consiglio di Stato in cui il re interviene per chiedere, ad esempio, che il suo cane Gourmand sia fatto membro onorario o che si facciano circolare la sera delle carrozze vuote per riaccompagnare gli ubriachi che non trovano più la strada di casa, un'idea stranamente moderna che riflette i cambiamenti drastici che uno Struensee visionario riuscirà a mettere in atto.

La finezza di quest'ultimo è un altro ingrediente delizioso del film. La si ritrova sia nel modo in cui si approccia alla regina, per le vie dello spirito e degli sguardi scambiati con una discrezione infinita e necessaria, che nei mezzi che usa per convincere il re di ogni cosa, e soprattutto smentire coloro che lo giudicano pazzo perché fa quello che più ama, ossia “interpretare" il suo ruolo di re come un attore invece di assumerne davvero le responsabilità.

Fino alla fine, sebbene “usurpi” in un certo senso il suo potere e seduca la sua regina, Struensee l'umanista nutre un'amicizia protettiva verso il re, di modo che A Royal Affair non è il racconto di un amore adulterino e di tradimenti, bensì (come vediamo quando i nostri tre protagonisti sono seduti mano nella mano) il ritratto indubbiamente riuscito di un triangolo politico-sentimentale moderno, sincero e paradossalmente privo di slealtà in un mondo di Bruti e di Caini.

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(Tradotto dal francese)

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