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FILM / RECENSIONI

L'intervallo

di 

- Giovani napoletani e Camorra. L'apprezzato esordio nella finzione di un documentarista. Premio Fipresci a Venezia.

A Napoli un ragazzo e una ragazza rinchiusi in un enorme edificio disabitato. Lui è il custode, suo malgrado, lei la prigioniera da sorvegliare. Un'intera giornata sospesa nel nulla, durante la quale i due ragazzi, lontani da una realtà opprimente, si affrontano, si misurano, riflettono l'uno l'immagine dell'altro. Si contrappongono e si avvicinano. Si svelano. In quello spazio indefinibile essi manifestano tutta la complessità dell'adolescenza in una periferia feroce e dispotica. Rivelano anche la forza smisurata del candore, dell'incolpevolezza. Dell'estraneità alle logiche tiranniche del mondo in cui vivono.

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Girato quasi integralmente nell'ex ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli, oltre 200mila metri quadrati, costruito nel diciannovesimo secolo e abbandonato a se stesso da anni, L'intervallo [+leggi anche:
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è l'opera prima di Leonardo Di Costanzo, regista formatosi presso gli Ateliers Varan di Jean Rouch che fino ad ora aveva realizzato documentari per il circuito dei festival internazionali. Il film è stato scritto insieme a Mariangela Barbanente e Maurizio Braucci, uno degli scrittori italiani di maggior talento degli ultimi anni, tradotto anche in Francia, e sceneggiatore di Gomorra [+leggi anche:
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).

L’intervallo del titolo è il tempo che trascorrono i due giovani Veronica, di 15 anni, e Salvatore, 17, interpretati da Francesca Riso e Alessio Gallo, in attesa dell’arrivo di un boss della zona (Carmine Paternoster). Veronica ha fatto l'errore di amare un membro del clan rivale del suo quartiere, ed ora dev'essere punita. Salvatore, venditore ambulante di granite di frutta, viene costretto a fare da carceriere fino a sera. Questi due goffi "adulti per forza" lentamente lasciano spazio alla loro ingenuità di sognatori. Salvatore vuole diventare uno chef, Veronica ha le ambizioni di tutte le sue coetanee. Li vediamo esplorare e perdersi in quel luogo fatiscente che li racchiude, fingere di essere su un'isola, nei sotterranei allagati dell’edificio, come se fossero naufraghi di un reality, e immaginare di andare verso il Madagascar. I dialoghi sono rarefatti, in un dialetto stretto che necessita dei sottotitoli. I due protagonisti sono stati trovati e formati attraverso un laboratorio di coaching per la recitazione improvvisata che ha coinvolto, con la collaborazione del Teatro Stabile di Napoli, un gruppo di ragazzi dei "quartieri spagnoli". Luca Bigazzi li ha fotografati senza luci aggiuntive e con macchina a spalla per adattarsi al modo degli attori di occupare lo spazio spontaneamente. I contrasti di luce tra interno ed esterno sono stati assorbiti adottando il formato super 16 millimetri e il risultato è "naturale", con inquadrature lunghe e grande profondità di campo.

Con L’intervallo, Braucci voleva scrivere una storia che raccontasse l’impossibilità di vita di questi ragazzi. E questo non è un film "sulla" camorra. Non è Napoli, ma è ovunque ci siano i bordi di una metropoli: l'annientamento quotidiano dell'integrità, da una parte. Dall'altra, la resistenza degli indifesi, attraverso lo splendore della visione onirica.

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