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Christian Carion • Regista

Quel favoloso Natale del 1914

di 

- Incontro con un cineasta appassionato, che ha voluto indagare su degli episodi taciuti dai libri di storia per riportarne alla luce la verità e trasmetterne l’emozione

In giro per tutta la Francia, impegnato da anteprime e festival, Christian Carion ha dedicato a Cineuropa il tempo di un’intervista per spiegare le profonde motivazioni che lo hanno spinto a realizzare Joyeux Noël [+leggi anche:
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. Una conversazione a ritmo serrato con un cineasta appassionato, curioso e aperto verso un mondo dove il sentimento di fratellanza universale vince sui pregiudizi e sulla violenza istituzionalizzata.


Cineuropa: Come è nata la sceneggiatura di Joyeux Noël?
Christian Carion: Quando mi sono imbattuto in questa storia, ho pensato che offrisse il materiale che mi serviva per farne un film come quelli che mi piacciono, film un pò epici, umanisti, con un’anima, un pò nello stile di John Ford: degli spazi riempiti dagli esseri umani e dalle loro passioni. Soprattutto, durante la mia indagine ho potuto constatare sino a che punto si è cercato di occultare questi episodi. Avevo voglia di vendicare questi poveri diavoli che hanno vissuto dei momenti straordinari, facendo conoscere al maggior numero di persone possibile i fatti incredibili accaduti durante quel Natale del 1914. Ho letto il libricino scritto da uno storiografo ed è stata la prima volta che ho sentito parlare di nemici che fraternizzano. Volevo saperne di più e ho incontrato lo storiografo che mi ha portato a sfogliare gli archivi. Ho anche visto diversi film su quell’epoca, anche se ho smesso in fretta per evitare di farmi influenzare. Mi sento molto vicino (e lo dico con rispetto ed umiltà) a La Grande Illusion di Jean Renoir che contiene molti richiami all’avvicinamento tra soldati tedeschi ed francesi, con in più quel concetto di casta che è presente anche in Joyeux Noël. Perché gli ufficiali non erano in prima linea come dice Guillaume Canet al generale alla fine di Joyeux Noël: "non viviamo la stessa guerra non possiamo capire". In linea generale tutti i film sulla guerra e sulla condizione dei soldati mi hanno toccato profondamente, in particolare, una spanna sopra tutti gli altri, La Ligne rouge ("La sottile linea rossa") di Terence Malick.

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Perchè avete scelto proprio Guillaume Canet e Daniel Brühl?
Perché all’epoca i luogotenenti erano molto giovani. Uno dei migliori libri che ho letto sulla Grande Guerra è quello di Maurice Genevoix (Ceux de 14): è stato luogotenente e racconta come fosse terribile avere la responsabilità di decisione sulla vita e la morte di tanti uomini. Per la parte francese avevo inizialmente considerato un altro attore ma avevamo divergenze artistiche e non se ne è fatto nulla. Guillaume è arrivato in quel momento perché aveva letto la sceneggiatura che avevo inviato a Diane Kruger. Non avevo pensato a lui, ma dopo aver trascorso un pò di tempo insieme, ho capito perché voleva interpretare quel personaggio e mi è piaciuto. Per quanto riguarda Daniel Brühl, cercavo degli attori in Germania e avevo apprezzato molto la sua interpretazione in Good bye Lenin! [+leggi anche:
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. L’ho incontrato e, a livello umano, mi ha colpito subito. Ho deciso all’istante di farlo entrare nel progetto, anche se non sapevo ancora per quale ruolo.

Come avete vissuto l’esperienza di dirigere un progetto di tale peso ?
E’ stato molto impegnativo. Rispetto a Una rondine fa primavera con i suoi due attori, la pressione per Joyeux Noël è stata molto forte. Innanzi tutto, dover parlare tutti i giorni in inglese è stato faticoso. In più abbiamo girato in tutta Europa, in Romania, in Francia, nel nord della Scozia ed in Germania. Avevamo un’infrastruttura di tutto rispetto con una troupe tecnica fissa di 200 persone. In ogni caso, le riprese sono andate piuttosto bene, soprattutto per l’atmosfera che si era creata. In Romania abbiamo formato un gruppo molto unito, in cui ognuno era perfettamente cosciente dell’autentico significato della storia. Gli attori sono stati molto sensibili a questo aspetto. Non che facessimo un minuto di silenzio tutte le mattine, ma si respirava un’atmosfera speciale anche grazie a questo.

Une Hirondelle... e Joyeux Noêl rimandano entrambi al confronto culturale.
Questo mi sta particolarmente a cuore. Credo nella bontà della mescolanza, del connubio tra culture, penso che non si sia mai abbastanza curiosi, che si dovrebbe andare a vedere cosa succede altrove, che sia necessario muoversi, scambiare. Se ci si ferma, se si scava la propria tana nell’angolino che ci è più famigliare, si finisce per impoverirsi. Sono un europeo convinto e non ho voluto fare Joyeux Noêl per caso. Credo che degli uomini che si stringono la mano la sera del Natale del 1914, dei contadini, dei commercianti, dei maestri…, mostrino la direzione che l’Europa ha cercato di intraprendere. Il mondo politico, quello, non si è mosso che dopo l’orrore. Quel Natale del 1914, inconsciamente o consapevolmente (ci sono tra l’altro delle lettere di alcuni soldati che già testimoniano la coscienza di una certa idea dell’identità dell’Europa), è stata posta la prima pietra. Volevo ricordare questo evento, poi sono stato inglobato nel contesto del referendum ma non ho fatto il film per questa ragione. Credo in questa idea dell’Europa, penso sia vitale, e non solo per gli europei, ma anche al di là dei confini del vecchio continente.

Cosa pensi delle coproduzioni europee?
Abbiamo avuto molte difficoltà a montare il film perché le grandi coproduzioni spesso fanno paura agli investitori. Tutto dipende dalla storia. Se riguarda veramente persone di diverse nazionalità, ha tutte le carte in tavola affinché la coproduzione europea abbia un senso, rispettando il più possibile le diverse lingue. Ed il pubblico ci si riconosce. Talvolta sono state fatte coproduzioni europee soltanto perché era necessario farle, senza che la storia lo richiedesse veramente. Così si rischia di scadere in una sorta di Europudding, un miscuglio forzato e mal assortito negativo per tutti. Joyeux Noël ha semplicemente rispettato gli elementi di partenza. In linea generale, credo in questo tipo di coproduzioni perché è necessario dare nuova linfa al nostro modo di produrre e diversificare le nostre fonti di finanziamento per non essere troppo succubi della televisione francese.

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