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Jean-Pierre et Luc Dardenne • Registi

I Dostoevskij del cinema belga

di 

- Poco dopo il loro ritorno da Cannes, dove hanno vinto il premio della sceneggiatura (loro quinto riconoscimento in quattro edizioni), Cinergie ha incontrato Luc e Jean-Pierre Dardenne

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, presenta una grande economia registica. Sembra che dopo Rosetta, la vostra cinepresa si "calmi" sempre di più. Perché questa scelta?

Luc Dardenne: E' vero che lavoriamo al risparmio, ma la trama è qui indubbiamente la più complessa che abbiamo mai trattato. Lorna è circondata da quattro uomini e ogni volta è una storia diversa. E' vero anche che la cinepresa si calma. Questo perché volevamo, fin dall'inizio, guardare Lorna, non seguire il suo movimento come per Rosetta.

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Nel film le informazioni sono date con il contagocce. Come avete gestito questo flusso d'informazioni e fino a che punto avete rischiato di perdere lo spettatore?
Jean-Pierre Dardenne: Non volevamo che lo spettatore si perdesse, ma creare in lui un'attesa, degli interrogativi. E' la prima volta che facciamo un film basato sulla suspense e abbiamo giocato con le regole del genere, specialmente le ellissi, che ci sono fin dall'inizio.

Di fatto, la trama è degna di un poliziesco americano. Si parla di mafia, di documenti falsi, di omicidio, ecc. Ma riuscite ad imprimere lo stesso il vostro sguardo caratteristico. Come avete fatto a restare nell'ambito del cinema realista?
Luc: Uno degli elementi importanti è che Lorna e Fabio non rientrano nell'immagine stereotipata dell'eroina di film noir e del gangster. Lorna e il suo amico sono due immigrati che ambiscono a una vita normale. Non si può dire che Lorna sia una femme fatale, la si mostra in un quotidiano piuttosto banale. Ci sono tuttavia degli elementi del film di genere nell'estetica: la notte, la città, la pioggia…

Ogni personaggio è caratterizzato da un accessorio o un indumento. La giacca e il pantalone rosso di Lorna, il taxi di Fabio, la busta di Claudy…
Jean-Pierre: Alcuni erano più evidenti di altri. Il taxi di Fabio era lì fin dall'inizio, è il suo status, la sua casa, e ha acquistato ancora più importanza durante le riprese. La busta di Claudy è l'accessorio che simbolizza i rapporti tra lui e Lorna. Per i costumi, dopo un mese di lavoro si è stabilito che Lorna avrebbe avuto una gonna e due pantaloni, tra cui quello rosso che la rende identificabile quando si muove in città.

Luc: Lei era anche un po' più tonda, le abbiamo chiesto di dimagrire. Le scenografie, i muri, i colori... sono cose che si cercano contemporaneamente e che richiedono tempo, riflessione. Persino per il pavimento dell'appartamento!

L'immigrazione è uno dei temi del film o è soltanto un mezzo per raccontare la storia del vostro personaggio?
Luc: E' chiaro che non identifichiamo l'immigrazione con l'"ambiente", ma la mafia russa e albanese esiste. La protagonista vive in questo ambiente, ma all'inizio è una rifugiata economica. Per lei, Liegi è il paradiso. Ha modo di lavorare, fa progetti di matrimonio, può comprarsi uno snack, ecc. Sfortunatamente si ritrova al centro di un meccanismo che funziona a scapito di una persona considerata di serie B perché è un tossico.

Si ritrova in questo film un tema che attraversa tutta la vostra opera, quello del senso di colpa.
Jean-Pierre: In due parole direi che questo tema ci interessa perché è quando ci si sente colpevoli che si è più umani. In ciascuno dei nostri film, è grazie al senso di colpa che il personaggio rompe la monotonia e cambia.

Luc: Direi che l'idea della colpevolezza, di ciò che siamo pronti a fare per avere il nostro posto al sole, è diventata nella nostra società una questione semplicemente umana. Ma attenzione, per noi non ha niente di morbido, il senso di colpa non è narcisistico, ma permette di migliorare.

Per il video dell'intervista, clicca qui

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