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Radu Mihaileanu • Regista

“L'ironia è l'ultima arma contro i dittatori”

di 

- Incontro con il regista franco-rumeno in occasione della presentazione fuori concorso al Festival di Roma 2009 del suo quarto lungometraggio: Il concerto

Come Train de vie - Un treno per vivere anche Il concerto [+leggi anche:
recensione
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intervista: Radu Mihaileanu
scheda film
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ruota tutt'attorno al tema dell'impostura positiva. La creazione di un 'falso' in chiave grottesca (il treno dei deportati o l'orchestra) per riscrivere la storia. Probabilmente tutto nasce dall'autobiografia del regista: "E' un tema che mi pervade mio malgrado. Forse dipende dal fatto che mio padre, che si chiamava Buchman, durante la guerra dovette cambiare cognome per sopravvivere. Diventò Mihaileanu per affrontare il regime nazista e poi quello stalinista".

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Cineuropa: Come mai usa l'ironia per rispondere alla drammaticità della Storia?
Radu Mihaileanu: Perché sono una persona non violenta e l'ironia è l'ultima arma che ho contro i dittatori che hanno marchiato la mia vita e quella dei miei cari. La utilizzo per andare contro la barbarie e la morte, per dimostrare che noi siamo più grandi di loro, che siamo ancora vivi e che quindi abbiamo vinto.

Nel film c’è una forte sensibilità russa.
Io sono nato in Romania, all’incrocio di tre imperi: russo, austroungarico e ottomano. Mi sento però molto slavo perché sono pieno di energia esuberante. Mi riconosco nel termine barbaro. Amo i barbari. All'Europa manca un po' di questa energia.

Come si è preparato a raccontare un Paese che non è esattamente il suo?
Per tutti i film che ho girato, ho trascorso prima molto tempo a documentarmi. Così ho passato molte settimane a Mosca per essere più vicino a quella realtà che, come spesso accade, è più forte della finzione. Tanto che la gente ci ha parlato di cose che ho faticato a inserire nel film perché potevano sembrare eccessive. Siamo stati nelle case per vedere come vivono le persone umiliate dal regime e decadute. La difficoltà sta nel dosare questi elementi, sapersi fermare e non lasciarsi prendere troppo dalle emozioni. Così nel dialogo tra passato e presente ho cercato di fare in modo di non lasciare troppo spazio al passato.

Un altro aspetto del suo cinema è la velocità degli accadimenti…
Corrisponde al mio motore interno. Ho una vita soltanto a mia disposizione. Torno su un punto che mi sta a cuore: l’Occidente è ricco ma dorme un po’. Noi siamo dei barbari e dei folli pieni di vitalità. Non abbiamo la vostra ricchezza e non abbiamo castelli come quelli della Loira. Che sono grandiosi ma sotto il fiume scorre lentissimo…

Come la prenderanno a Mosca?
Abbiamo già fatto un’anteprima. Avevo il terrore, soprattutto per quella battuta che ho messo in bocca al direttore parigino: “I russi sono come dei muli, per farli andare avanti devi dargli una botta in testa". Invece il pubblico s’è dimostrato molto ironico.

Lei fa a pezzi anche il mito del Bolshoi.
Probabilmente non è più quello di 20 o 30 anni fa. Per dire, la facciata è in restauro da molti anni, mai finita. Ma il film non lo critica, volevo solo rendere omaggio alla grande tradizione della musica russa. So che i critici con la puzza sotto il naso non amano Tchaikowski perché considerano le emozioni troppo volgari. Ma secondo me è l'anima stessa della sensibilità slava e del mio film.

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