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Tomasz Emil Rudzik • Regista

L’ascensore delle storie

di 

- Incontro con un regista nato in Polonia, residente in Germania e pluripremiato per la sua opera prima

Desperados on the Block [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Tomasz Emil Rudzik
scheda film
]
, primo lungometraggio di Tomasz Emil Rudzik, è stato premiato in diversi festival, tra cui Monaco, Starnberg e Lecce, in Italia, dove ha conquistato tre riconoscimenti: titolo di miglior film, premio Fipresci e premio Cineuropa.

Cineuropa: Desperados on the block trae spunto dalla sua esperienza personale in un ascensore, ai tempi in cui alloggiava in una residenza universitaria tedesca. Avrebbe mai immaginato che tutto questo sarebbe diventato un film?
Tomasz Emil Rudzik: Ho vissuto tre anni in questa residenza studentesca in Germania, un immobile di 19 piani e 630 camere. Confrontato con l'immenso anonimato del luogo, ho deciso di provare a rompere questo anonimato e di trovare il modo per conoscere l'ambiente e le persone. Ho passato una settimana in ascensore, dalla mattina alla sera, per poter entrare in contatto con la gente. E' così che sono venuto a conoscenza di tante storie individuali molto interessanti. Ma all'inizio non pensavo a un film, lo facevo per puro interesse verso gli altri.

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Quali erano le reazioni di chi prendeva l'ascensore?
Molto diverse. Il primo giorno, quasi non ci si parlava; dopo tre giorni, si abituavano alla mia presenza e si cominciava a conversare. Sono stato testimone di ogni tipo di situazione: litigi, lacrime, tutta una gamma di emozioni. Ciò che più mi toccava erano le storie degli studenti stranieri: avevo l'impressione che dentro di sé si sentissero dei senzatetto. Era commovente constatare fino a che punto provassero a fuggire da questo stato. E' solo in quel momento che ho pensato che quel materiale potesse diventare il soggetto del mio primo lungometraggio. Il film può essere interpretato come una sorta di sguardo amaro su masse di esseri umani solitari che si incrociano per le strade d'Europa.

Aveva pensato al film come a una metafora dei problemi dell'integrazione, della mancanza di comprensione tra gli individui?
Sì. Per me, è un'immagine metaforica, non solo dell'Europa, ma del mondo. I miei personaggi provengono da differenti aree geografiche, da diversi continenti. Nella fase di progettazione del film, avevo in tutto venti storie e ne ho scelte tre. La cosa importante è che ho conosciuto queste storie in un ascensore, un luogo che per me ha un significato simbolico: una sorta di terra di nessuno, una no man’s land, uno spazio ristretto che riunisce esseri molto diversi fra loro e le loro storie. Nel contempo, è un luogo di transito: si è sempre tra un posto e un altro. Amo i luoghi di questo genere: gli ascensori, gli autogrill.

Come ha scelto gli attori, non tutti professionisti?
La cosa fondamentale era trovare le persone, non necessariamente gli attori. Ho quindi cercato individui personalmente segnati da storie in qualche modo comparabili a quelle che volevo raccontare. Le ricerche hanno richiesto molto tempo: dieci mesi per Andreas Heindel nel ruolo di Motek, un anno per Lizhe Liu in quello di Sin Xiah. Il principio che ho voluto applicare era: "Non recitate, siate semplicemente voi stessi". Vi sono nel film molti figuranti non professionisti, bulgari, albanesi, romeni...

Lei è nato in Polonia, ma all'età di otto anni è emigrato in Germania, dove tuttora vive. L'esperienza dei suoi personaggi è anche la sua. Pensa che l'esperienza personale sia necessaria per realizzare un buon film?
Sì. Se si vuole fare un film onesto e raccontare una storia in modo autentico, ciò che viviamo in prima persona diventa un elemento essenziale.

Si sente nel suo film la presenza di Krzysztof Kieślowski e di altri maestri del cinema polacco. Si ispira a qualcuno di loro in particolare?
Certo. Tra i film più importanti per me, c'è Decalogo di Krzysztof Kieslowski, che trovo molto più forte di Tre colori dello stesso regista. In generale, m'interesso molto al cinema polacco e a quello dell'Europa dell'est. Attualmente partecipo al programma Ekran alla Wajda Master School in Polonia, dove lavoro sullo sviluppo del mio prossimo film. Ho dunque la fortuna di approfittare dei consigli di maestri come Andrzej Wajda, Krzysztof Zanussi e Wojciech Marczewski, che mi incoraggiano a mettere in scena le mie idee, a mostrare e a raccontare ciò che mi tocca davvero senza pensare ad altri obiettivi.

Può dirci qualcosa sul suo nuovo progetto?
Posso solo dire che sarà un film su una forma di alienazione, nuovamente al confine, stavolta tra Polonia e Germania. E' una storia vera che ho sentito raccontare da una donna polacca nella stessa residenza studentesca in Germania.

In Desperados on the Block, ha utilizzato la tecnologia NoX. E' vero che il suo film è il primo lungometraggio al mondo realizzato con questa tecnologia?
Può darsi, ma non ne sono sicuro. Essendo il budget del film molto ristretto (meno di 200 000 euro), non potevamo che girare in digitale. E' stata un'esperienza che trovo riuscita, l'effetto è davvero soddisfacente. Abbiamo ottenuto un'immagine di ottima qualità. Ma non ha ancora un distributore. Continuiamo a cercarlo affinché il film entri nelle sale.

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