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Mia Hansen-Love • Regista

"Una ricerca di trasparenza"

di 

- Incontro a Parigi con la regista trentenne che prosegue una brillante carriera con il suo terzo lungometraggio, Un amore di gioventù, Menzione speciale della giuria a Locarno.

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Mia Hansen-Love: Prima di scrivere, pensavo alla storia di una ragazza che non aveva mai elaborato il lutto del suo primo amore. Potrebbe sembrare che il tema sia "voltare pagina", ma c'è anche una resistenza feroce a relativizzare i sentimenti. Agli adolescenti, gli adulti che dicono che un amore passionale passerà, mettono rabbia. C'è una specie di testardaggine, di energia, di furore.

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Come ha affrontato la durata di nove anni del racconto?
Faccio affidamento sullo spettatore per collegare i pezzi e colmare i vuoti. Rispetto ai miei film precedenti, ci sono più cose rappresentate nel trascorrere del tempo perché avevo voglia di filmare Camille nella sua solitudine, una dimensione essenziale del personaggio. E' una persona che si costruisce, tra i 16 e i 22 anni, in un'età in cui si cambia enormemente e che è determinante per la vita futura.

Affronta una moltitudine di argomenti in modo velato.
La costruzione del racconto è molto strutturata, ma ciò che mi guida non è mai l'intenzione di far passare messaggi o idee. Tutto è nell'ordine dell'intuitivo e del sensoriale: il desiderio di filmare quella scenografia, girare d'estate, vedere i personaggi fare questo o dire quello… Ho sempre pensato che le scene siano animate quando si ha voglia di filmare una cosa e che alla fine poco importa il perché.

Il suo cast è nuovamente molto europeo, con la francese Lola Créton, il tedesco Sebastian Urzendowky e il norvegese Magne Havard Brekke.
Non è voluto, d'altronde il personaggio di Sullivan non era straniero nella sceneggiatura. Adoro il carisma di Magne, che aveva già una scena ne Il padre dei miei figli [+leggi anche:
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. Per il ruolo difficile di Sullivan, un personaggio singolare e un po' inafferrabile, ho cercato per mesi in Francia. Stavo per rinunciare al film quando mi hanno mostrato una foto di Sebastian, che non avevo visto in Pingpong. Sono rimasta subito colpita dalla profondità della sua espressione. Ma il fatto che fosse tedesco era un problema. Poi mi sono detta che lui interpreta un personaggio che non riesce a mettere radici, in fuga, e che non era una contraddizione. Quanto a Lola, l'ho vista in televisione in Barbe bleue. Dal primo piano, sono rimasta colpita dall'intensità del suo sguardo e dalla forza della sua presenza.

Perché non ha fatto invecchiare Camille e Sullivan sullo schermo?
E' un partito preso. Trovo che il cinema non possa mostrare l'invecchiamento in modo veramente autentico perché è una cosa che solo il tempo può produrre. Il trucco o la recitazione non si avvicinano mai alla realtà. Ho preferito scegliere attori che avessero la stessa età dell'inizio del film con la freschezza e l'innocenza dell'adolescenza.

Perché ha scelto di ambientare la storia nel mondo dell'architettura?
L’architettura pone questioni molto vicine al cinema: lo spazio, la luce, il rapporto con il tempo, il fatto di essere al contempo un'arte e una pratica molto concreta, la miscela tra grande scala e piccoli dettagli, l'aspetto tecnico… La cosa geniale del cinema è che è anche uno strumento di esplorazione del mondo. Ho cercato di fare in modo che ognuno dei miei film non mi servisse soltanto a raccontare me e ciò che conosco, ma anche ad andare verso ciò che non conosco.

Quali erano le sue intenzioni dal punto di vista visivo?
Una ricerca di trasparenza, di assenza di effetti: illumino il meno possibile, il che non vuol dire che non illumino, giacché è sempre piuttosto difficile con gli interni. Quello che mi preme al cinema è sentire la luce vera. In materia di tagli, non c'è una regola: ci sono scene in piano-sequenza, alcune camera a spalla, altre a sé stanti, scene molto tagliate, altre molto poco. E' la logica propria delle scene, del ritmo e della musicalità.

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