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Barbara Albert• Regista

“Trasferire i sensi di colpa alle nuove generazioni”

di 

- Con The Dead and the Living, viaggio di una giovane donna nel passato, la regista austriaca Barbara Albert si è aggiudicata il Premio Cineuropa al 14° Festival del Cinema Europeo di Lecce.

Con The Dead and the Living [+leggi anche:
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, viaggio di una giovane donna nel passato, tra i fantasmi della sua famiglia durante la Seconda guerra mondiale, la regista austriaca Barbara Albert si è aggiudicata il Premio Cineuropa al 14° Festival del Cinema Europeo di Lecce (8-13 aprile 2013).


Cineuropa: Sita lavora per un talent show televisivo. Perché ha scelto questo lavoro per l’eroina di The Dead and the Living?
Barbara Albert: Volevo creare un’eroina moderna che rappresentasse il nostro mondo, come lo vedo io. Su come molti di noi abbiano a che fare con le immagini, i media, ma non abbiano consapevolezza su quanto possiamo influenzare l’ambiente intorno a noi. Sita fa molte cose, come i giovani tendono a vivere a oggi. Studia tedesco, lavora per la TV, viaggia, sempre in movimento, sempre sulla strada, ma senza un obiettivo.

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Quant’è autobiografico il suo film?
Il film parla della storia di mio nonno, ufficiale delle SS. È morto nel 1999, io avevo 29 anni. Lo amavo molto. Quando ho scoperto il suo passato e mi sono chiesta quanto fosse o non fosse colpevole, avevo bisogno di affrontarlo. Il modo per farlo è stato realizzarci un film: sulla mia famiglia, sul trasferimento del senso di colpa alle generazioni future. Penso che sia importante parlare dei propri tabù familiari, e non solo di quelli che hanno vissuto prima di te, ma soprattutto delle persone che ti seguono, i tuoi figli, le tue figlie.

Una volta scoperta la verità, la visione che Sita ha di suo nonno cambia? Come vede suo padre?
Sita ha paura di non sentirsi più autorizzata ad amare suo nonno. Forse non lo ama neanche più così tanto. Per lei è però difficile fare chiarezza sui suoi sentimenti: quello che scopre è troppo disturbante. Per questo cerca la vicinanza del padre: pensa che se gli farà delle domande sul suo approccio avrà le risposte. Sono però d’accordo con suo zio, che le chiede: "Scoprire la ‘verità’ ci aiuta a trovare una soluzione?". Suo padre è un codardo, secondo lei. Non capisce il fatto che non abbia voluto scoprire la ’verità’.

Responsabilità, colpa, perdono, eredità sono i temi centrali del suo film. Come si può vivere col peso drammatico della verità di avere un membro della propria famiglia nelle SS?
Quando lo scopri, ti senti così colpevole. Ma non credo aiuti. Ecco perché ho cercato di superare la colpa: ti paralizza, mentre io credo nello sviluppo, nel movimento. Come il personaggio di Sita, ho cercato di scoprire le mie responsabilità (e la mia colpevolezza) nella mia vita. È un peso, è vero, ma non è colpa tua, e d’altro canto non dovresti dimenticare che non sei una vittima — per questo non ho mai voluto commiserarmi. So però di gruppi di persone che si incontrano in terapia — nipoti di vittime e nipoti di carnefici — per superare cose commesse dalle famiglie, o fatte a loro. Dare delle risposte nel cinema è difficile quanto darle nella realtà, e dubito di aver trovato la giusta risposta a questa domanda.

Qual è il suo prossimo progetto?
Sto scrivendo una storia d’amore, che parla del desiderio di un bambino, del tradimento del proprio partner e del senso di colpa per cose accadute nel passato. Ed è anche una storia di ’fantasmi’. Il soprannaturale mi è sempre piaciuto.

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