email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

Uberto Pasolini • Regista

“Un film a toni bassi sul valore della vita”

di 

- Uberto Pasolini ha presentato a Roma la sua toccante opera seconda, Still Life, in occasione della sua uscita nelle sale italiane.

Uberto Pasolini • Regista

Premio Orizzonti per la regia all'ultima Mostra di Venezia, Still Life [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Uberto Pasolini
scheda film
]
è l'opera seconda del cineasta italiano trapiantato nel Regno Unito Uberto Pasolini, dopo l'acclamato Machan [+leggi anche:
recensione
trailer
scheda film
]
. Il film ha per protagonista un funzionario comunale incaricato di organizzare le esequie delle persone morte in solitudine, un lavoro che svolge con dedizione e compassione. Il regista, anche autore della sceneggiatura e produttore, ne ha parlato con la stampa a Roma, in occasione della sua uscita nelle sale italiane.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)


Cineuropa: A cosa si riferisce il titolo del suo film, Still Life?
Uberto Pasolini: E' un titolo che può essere letto in vari modi. Significa "vita ferma", come quella del protagonista. Ma anche "ancora vita", il significato per me più importante. In italiano, poi, si può tradurre con "natura morta". Ma il mio è un film sulla vita, non sulla morte, un film sul valore della vita delle persone.

Perché ha deciso di raccontare la storia di quest'uomo che di mestiere rintraccia i parenti delle persone morte in solitudine?
Per una curiosità di tipo sociale sul tema dell'isolamento, che è sempre più forte nella società occidentale. Il senso del vicinato non esiste quasi più. Io stesso, prima di fare il film, non sapevo chi fossero i miei vicini di casa. Ora li conosco tutti, in questo senso Still Life mi ha cambiato la vita. Ma oltre alla ricerca sociale, c'è anche una questione personale. Ho divorziato di recente, e dopo aver vissuto tanti anni con moglie e tre figlie, ci sono sere che mi ritrovo a tornare in una casa buia e senza nessuno ad aspettarmi. Così, mi sono proiettato in quella che deve essere la vita di chi sperimenta questa solitudine tutti i giorni. Lo spunto visivo del film è stato l'immagine di una sepoltura solitaria, una bara senza nessuno intorno. Chi non si è mai chiesto: quante persone ci saranno al mio funerale?

Come si è documentato su un mestiere così particolare, quello del funeral officer?
Tutto è partito da un'intervista a un funeral officer di Westminster che lessi su un quotidiano di Londra, decisi di contattarlo. E' un mestiere che esiste da sempre, in ogni comune di Londra ce n'è almeno uno. Ne ho incontrati una trentina, ho visitato le case dei defunti e ho presenziato a funerali e cremazioni, per sei mesi. Alcuni vivono il lavoro in maniera burocratica, altri dedicano più tempo al ricordo di queste persone morte in solitudine. Il protagonista del mio film, John May, è un condensato di due o tre di loro. C'è poco di inventato, pure le cartoline e le fotografie che vediamo nel film sono vere.

Eddie Marsan è considerato uno dei migliori attori caratteristi inglesi, qui al suo primo ruolo da protagonista in un lungometraggio. Perché ha scelto proprio lui?
Perché è un attore capace di dare tantissimo facendo apparentemente poco. Lo incontrai sul set de I vestiti nuovi dell'imperatore, da me prodotto, in cui interpretava il valletto di Napoleone. Con sei battute in tre scene fu capace di far emergere il personaggio in tutta la sua complessità. Volevo un film a toni bassissimi, per me più efficaci per catturare l'emotività dello spettatore, e la maestria e umanità di Eddie hanno portato verità nelle azioni e nei piccoli cambiamenti che segnano la vita del personaggio.

La staticità della vita del protagonista si riflette nella tecnica delle riprese. Come evolvono entrambe?
La macchina da presa è quasi sempre immobile, il mondo doveva essere visto e percepito dal punto di vista del protagonista, così abbiamo girato sempre dalla sua angolazione. Solo dopo che incontra Kelly, la figlia del defunto, adottiamo la prospettiva di un altro personaggio. John non è consapevole di fare una vita limitata, prova una profonda pietas verso il prossimo ma non verso se stesso. Poi, nel corso del racconto, la sua vita prende colore: dai grigi, blu e marroni della prima parte, si inseriscono poco a poco altre tonalità. John scopre, a piccoli passi, i sapori della vita: il film è, in parte, un percorso di risveglio dei sensi.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy