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Luc and Jean-Pierre Dardenne • Registi

“La solidarietà in tempi di crisi”

di 

- CANNES 2014: Ancora una volta, il lavoro è al centro del cinema dei fratelli Dardenne, che tornano per la sesta volta in competizione ufficiale con Due giorni, una notte

Luc and Jean-Pierre Dardenne  • Registi

Habitué della Croisette, i Dardenne tornano per la sesta volta in competizione ufficiale con Due giorni, una notte [+leggi anche:
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intervista: Luc and Jean-Pierre Dardenne
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, un film in perfetta linea con il loro cinema, un cinema sociale, centrato sull'umano 

Cineuropa: Come nasce il soggetto di Due giorni, una notte?
Luc Dardenne: Nel 1998, un team di Peugeot France diede il consenso a far licenziare uno dei loro per ottenere premi di produzione maggiori. Poi ci sono stati fatti di cronaca anche da noi, in alcuni casi la gente era solidale. Ad esempio, gli operai accettavano di perdere ciascuno il 2 o 3% del proprio salario per impedire un licenziamento.
Jean-Pierre Dardenne: E' il frutto di una lunga maturazione, e il fatto che la crisi finanziaria si sia trasformata in crisi economica e in crisi sociale ci ha indubbiamente spinti a riprendere questa storia.
L.: Abbiamo voluto raccontare la storia di una donna che non riesce a rientrare al lavoro perché la direzione ha proposto agli altri lavoratori di scegliere tra il loro premio e il suo reintegro. Sandra ha un marito amorevole, dei figli, ma questa stabilità familiare non basta alla sua completezza. Ha bisogno della solidarietà degli altri per riacquistare fiducia in se stessa, per non avere più paura. Senza raccontare la fine, volevamo raccontare la storia di una donna che doveva vincere la sua paura. 

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Il film ha una forte risonanza morale…
J-P.: Ogni persona che Sandra incontra deve fare una scelta. La solidarietà è anche una questione etica, è una scelta personale. Malgrado la pressione del gruppo, resta una scelta personale. Sandra impone anche la sua morale. Ovviamente, il problema quando si affrontano questioni etiche e morali, è non scadere nella penitenza… 

In quale momento della scrittura avete scelto di lavorare con Marion Cotillard, e questo ha cambiato il vostro metodo di lavoro?
J-P.: Abbiamo incontrato Marion nel 2011 per un altro personaggio, quello di un medico di periferia. Ma ci siamo fermati in fase di scrittura e siamo tornati al personaggio di Sandra. E siccome avevamo proprio voglia di lavorare con Marion, e viceversa, lei è diventata Sandra.
L.: Marion è una vera star e questo significava, sia per lei che per noi, far dimenticare ciò che è stata negli altri film e soprattutto nella moda. Bisognava che trovasse un nuovo corpo, una nuova silhouette. Abbiamo mantenuto lo stesso metodo di lavoro: un mese di prove. La lentezza del lavoro delle prove serve. Ogni giorno si vestono gli attori, si cercano i costumi, le acconciature, si filmano le prove… 

Siete presenti a Cannes anche come coproduttori del film di Ken Loach. Come considerate il vostro lavoro di coproduttori?
L.: Per Ken Loach, così come per Cristian Mungiu, abbiamo seguito Why Not e Pascal Caucheteux, che è un amico. Quando si cerca un coproduttore francese per un progetto, ci si rivolge a quello dei nostri film, Denis Freyd (Archipel 35), e lui ci ha proposto L’Exercice de l’Etat [+leggi anche:
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intervista: Pierre Schoeller
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. Il tutto si basa su rapporti di stima e d'amicizia. Ovviamente ci propongono registi che ci interessano… Abbiamo appena scoperto un nuovo produttore a Parigi e abbiamo coprodotto il prossimo film di Cédric Kahn, Vie Sauvage (prodotto da Les Films du Lendemain, ndr). Produciamo anche Terre Battue di Stéphane Demoustier. 

Vi sentite cineasti europei?
J-P.: Con la minaccia che aleggia sulla creazione europea, ci sentiamo più che mai europei. Abbiamo lanciato una petizione a fine 2013 in cui si sosteneva che "L’eccezione culturale non è negoziabile", per spingere i capi di Stato europei a pronunciarsi a favore dell'esclusione dei servizi audiovisivi e cinematografici dalle trattative tra Europa e Stati Uniti. Alcuni hanno cercato di disgregare il movimento in diversi paesi dicendo ai firmatari che non erano francesi: "Perché fate questo se non siete francesi?". Ma non è un affare francese, è un affare europeo.
L. : Se non ci proteggiamo, non ci sarà più il cinema europeo. Siamo andati a incontrare Karel de Gucht, il Commissario europeo belga responsabile del dossier, e la discussione si è rivelata accesa. Gli abbiamo detto che avrebbe affossato il cinema europeo se avesse rifiutato l'eccezione culturale in campo digitale. "Non siamo in Cina – ci ha risposto – non si possono fare leggi sul digitale". Ma certo che si può fare! Nel rispetto delle libertà individuali, certo, ma bisogna farlo. Altrimenti verremo severamente sconfitti!
J-P.: Non siamo contro il cinema americano. Semplicemente, bisogna trovare un modo per continuare a produrre film in questa parte del mondo che si chiama Europa… 

Thierry Frémaux ha detto qualche anno fa: "I Dardenne a Cannes sono come la Germania nel calcio, alla fine sono sempre loro a vincere…".
L.: Vi faccio notare che il Bayern ha appena perso!
J-P. : Thierry Frémaux ha l’arte della formula... Noi ci accontentiamo di essere la nazionale belga! Se c'è qualcosa nel palmarès, tanto meglio, è ovvio. Ci sono 18 registi e registe in concorso, e altrettante persone che sperano in un premio.
L.: Siamo contenti di tornare a Cannes. Saremmo rimasti delusi se non fossimo stati selezionati. Ovviamente, quando le cose vanno bene a Cannes, il film acquisisce una bella notorietà. Di fatto, facciamo uscire il film in contemporanea perché per noi l'importante è che il film incontri il grande pubblico. 

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(Tradotto dal francese)

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