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Carles Torras • Regista

“Mi lascio guidare dall’intuito”

di 

- Il catalano Carles Torras presenta in concorso a Malaga un film asciutto e travolgente, distruttivo e feroce, girato in inglese, ambientato a New York e intitolato Callback

Carles Torras  • Regista
(© Festival de Málaga)

Un grande applauso al Festival di Malaga per aver incluso nella sua Sezione ufficiale in concorso un film così poco convenzionale come Callback [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Carles Torras
scheda film
]
, quarto lungometraggio di Carles Torras (Barcellona, 1974), un cineasta audace e per niente accomodante, come hanno dimostrato i suoi precedenti Joves, Trash e Open 24h, gli ultimi due selezionati in edizioni anteriori di questa manifestazione. Il regista stavolta va a New York per esplorare il lato meno bello della patria dei grandi sogni.

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Cineuropa: Bisogna lodare il coraggio per aver girato un film tanto ruvido come Callback.
Carles Torras:
Mi sento attratto da personaggi destrutturatio cherifiutano di conformarsi alle norme stabilite. Essendo il produttore e il regista del film, ho montato il finanziamento, trovato soci negli Stati Uniti e il sostegno di TV3. E’ una doppia occupazione, ma mi permette di lavorare in libertà e indipendenza, sviluppare i progetti che mi interessano e come più mi piace. Non è un film di grosso budget, ma andare a New York con tutta la squadra e girare lì è stata una sfida.

E’ sempre stato questo il suo metodo di lavoro?  
Open 24h è stato il punto di svolta, perché l’ho prodotto oltre che girato: prima facevo film per altre produzioni e cercavo di adattarmi all’industria, essere commerciale, piacere, destare interesse nei produttori... ma arriva il momento in cui pensi “devo essere onesto con me stesso e fare il cinema che vedrei come spettatore”. E l’unico modo per farlo è assumere il ruolo di regista-produttore: quando cerchi di accontentare tutti, finisci per fare qualcosa che non ha anima. Per questo ho preso quella direzione e la gente si è fidata di me: fare il produttore toglie tempo alla creatività, ma ho dei collaboratori che mi aiutano.

Quanti anni e soldi ci sono voluti per realizzare Callback?
Quasi 400.000 euro. Dopo Open 24h ho prodotto il documentario American Jesus. Sono andato a New York, lavoravo alla sceneggiatura di un altro film quando conobbi Martín Bacigalupo, il co-sceneggiatore, ed è nato Callback, su cui mi sono concentrato. Era il 2014: ci abbiamo messo due anni, non è tanto; la prossima volta sarà più veloce...

In Spagna magari?
No, sarà negli Stati Uniti: faremo un dittico o una trilogia su quel paese. Questa è l’idea, ma non si sa mai dove ci può portare la vita: mi piace lasciarmi guidare dall’intuito. Martín ed io stiamo su un’altra sceneggiatura, abbiamo una visione comune e ci siamo focalizzati nel portare in superficie il lato occulto di quella società. Il prossimo film toccherà altri temi, ma seguirà la scia di Callback.

La fotografia del suo film è fredda e gli scenari reali mantengono intatta la loro bruttezza.
Tutti gli scenari sono naturali, selezionati meticolosamente, così come ogni angolazione della camera: c’è un lavoro di messa in scena e con gli attori, di post-produzione del suono e dell’immagine, abbiamo spogliato la pellicola di ogni artificio per andare all’essenziale, senza muovere la camera immotivatamente o mettere la musica per distrarre lo spettatore: volevamo servire la bistecca al sangue, affinché la gente sentisse il sapore della carne, senza salse che lo avrebbero mascherato.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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