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Valerio Mieli • Regista

Tra fiaba e realismo

di 

- Mentre la maggior parte dei suoi "compagni di scuola" del Centro Sperimentale di Cinematografia sceglie di diplomarsi con un corto, il regista ha avuto l’occasione di girare subito un lungo

“A trent’anni si è giovani soltanto in Italia”, spiega Valerio Mieli a chi gli domanda se a volte non abbia avuto paura di aver fatto il passo più lungo della gamba: mentre la maggior parte dei suoi “compagni di scuola” – il Centro Sperimentale di Cinematografia (CSC) di Roma – sceglie di diplomarsi con un corto, lui ha avuto l’occasione di girare subito un lungo. E quell’opportunità l’ha colta al volo: “Se ti offrono una possibilità del genere, l’unica cosa sensata è accettare. Bisogna avere il coraggio di fare per la prima volta qualcosa di nuovo”. E così, eccolo esordire con un saggio di diploma ambizioso e maturo, Dieci Inverni [+leggi anche:
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, che col suo romanticismo mai melenso, e consumato sulla lunga distanza di un decennio, ha conquistato pubblico e critica alla Mostra di Venezia 2009 (dove il direttore Marco Muller ha parlato di “miglior commedia sentimentale italiana degli ultimi anni”), e il 10 dicembre esce al cinema in 50 copie, come “alternativa – spiega il distributore Leandro Pesci (con Mario Fiorito alla guida di Bolero Film) – ai cinepanettoni di Natale”.

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Cineuropa: Come racconterebbe la storia di Dieci inverni?
Valerio Mieli: È la storia di un innamoramento lento, non di un amore consumato ma di un anelito, tutto il contrario di un colpo di fulmine. Non si tratta di un’amicizia che si trasforma in amore: Silvestro e Camilla attraversano tutte le fasi di una relazione, dalla complicità alla gelosia, ai litigi, ma senza stare insieme. Non sono fidanzati, ma li unisce un legame in cui si avverte sempre una tensione amorosa.

Com’è nata l’idea del film?
Mi ronzava in testa l’idea per un film, una storia d’amore raccontata “a quadri”, per ellissi, che coprisse un lungo periodo di tempo. Isabella Aguilar, che oltre a essere la sceneggiatrice di Dieci inverni è anche la mia compagna, e ha una grande cultura cinematografica, mi ha detto che esisteva già Un amore (un film che in seguito abbiamo studiato molto, soprattutto per il modo in cui il suo autore, Gianluca Maria Tavarelli, lavora sulle ellissi), mentre ancora nessuno aveva ancora raccontato una storia come quella tra me e lei.

C’è qualcosa di autobiografico, quindi?
Silvestro e Camilla sono personaggi lontani da noi, e le situazioni sono perlopiù inventate, ma direi di sì: con Isabella stiamo insieme da poco, ma ci conosciamo da dieci anni, le nostre storie si sono incrociate spesso, dopo aver frequentato, anche sentimentalmente, le rispettive compagnie; abbiamo persino parlato male l’uno dell’altra, e ci siamo stati a lungo antipatici.

Perché la scelta di Venezia?
La storia di Dieci inverni è, in astratto, piuttosto universale, ma solo Venezia, luogo magico per definizione, avrebbe saputo garantire l’equilibrio tra poesia e realtà che cercavo. Per trovarlo ho scelto gli angoli meno visti, almeno al cinema: la città degli studenti, dove si vive e si lavora, e dove i turisti passano soltanto per sbaglio. Quegli angoli nascosti hanno assicurato un tono sospeso, tra il realismo e il fiabesco, e ho insistito molto per girare dal vero anche gli interni, nonostante Venezia sia un posto logisticamente complesso (e molto costoso)

Qualcuno ha parlato di film anti-Moccia, per marcare la distanza del film, che pure ha per protagonisti due giovani, dal filone giovanilistico dello scrittore-regista di Scusa ma ti chiamo amore [+leggi anche:
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Non volevo fare un’opera anti-qualcosa, ma di certo contraddice l’idea di chi pensa che i film che raccontano una storia d’amore tra ragazzi debbano essere solo scemi o tragici. Ho raccontato i personaggi che conosco meglio, quelli con cui ho passato gli ultimi dieci anni: gente simpatica, intelligente. E con qualcosa da dire, proprio come il film.

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