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Pia Marais • Regista

Le strade della libertà

di 

- La regista Pia Marais racconta la sua carriera.

L’inquietudine e l’esasperazione dei suoi personaggi è quello che interessa Pia Marais – non ha nessun desiderio di prendersene cura.

Stevie è un ‘fantasmino’ nel bel mezzo della Germania. Ha solo 14 anni, ma ha bisogno di trovare la sua strada, e i suoi genitori non l’aiutano. Il lungometraggio di debutto di Pia Marais, The Unpolished [+leggi anche:
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è una storia strana: un racconto sul diventare adulti ambientato tra droghe e festini, sesso e una società basata sull’egoismo, un film sensibile e sottile sulla figlia di due ex hippie che rifiutano di accettare il mondo piccolo-borghese. “In qualche modo, il mio film è autobiografico”, aveva dichiarato all’epoca. “L’idea di fondo era quella di descrivere la condizione della mia giovinezza, un giorno dell’infanzia. Poteva essere una commedia, ma volevo esprimere anche serietà con le mie immagini”.

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The Unpolished è un’opera intensa, girata con una macchina da presa febbrile, protesa in una ricerca esitante e nello stesso tempo fiduciosa nella vita di Stevie, come un collezionista. I colori ricordano le vecchie foto, e anche se l’azione si svolge nel presente, ci si sente trasportati nel territorio poco familiare del passato. È un film rozzo nel miglior senso del termine: non raffinato, a volte grezzo, sempre intenso. Ma anche un film maturo, premiato col Tiger Award a Rotterdam.

Il suo secondo film, At Ellen’s Age [+leggi anche:
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, è invece un thriller psicologico molto diverso – sulla liberazione che segue l’abbandono della borghesia, con una svolta selvaggia. Da un minuto all’altro, Ellen lascia la vita passata alle spalle e compie un viaggio attraverso la vita moderna, armata soltanto di una valigia e della sua uniforme da hostess di volo. È come in trance, nel mondo professionale degli uomini d’affari in viaggio, persi tra i meeting nella speranza di ritrovare se stessi in deprimenti feste nelle stanze d’hotel. Incontra poi un gruppo di attivisti di sinistra, nemici della globalizzazione e degli esperimenti sugli animali, e cerca un’altra vita con loro, senza successo anche stavolta. Alla fine, Ellen atterra in Africa, e tutto il film può essere interpretato come una fiaba moderna su una donna sulla quale grava un incantesimo.

In tutto questo, è ancora possibile discernere i segni di un movimento di allontanamento dalla borghesia, in cerca di speranze dimenticate e sogni di civilizzazione, in un canto del cigno triste e insieme ironico sul declino dell’Occidente, che ha tradito da molto tempo le sue promesse di libertà e felicità. E poi c’è un ‘grand tour’ sull’alienazione, ispirato a Rousseau, che porta allo stesso “Cuore di tenebra” del finale di Apocalypse Now di Coppola, anche se in modo differente.

Tutto è aperto alla fine, ma si potrebbe interpretare anche come vuoto. Questo film eccellente è un’opera filosofica senza dubbio, ma anche un lavoro maleducato e anti-accademico sempre imprevedibile, forte e sperimentale, e include ancora una volta belle scene con gli animali – una scimmia, centinaia di galline, gatti e cani – che sembrano quelli più pieni di vita, i più liberi: il loro comportamento è uno specchio di quello umano. Il film ha una grande apertura, con un umorismo e dialoghi asciutti, pieno di piccoli momenti brutti e grande magia. Pia Marais esamina i possibili modi di vivere e sembra più interessata all’inquietudine e all’esasperazione dei suoi personaggi che al cercare di curarli.

Intanto, Marais ha iniziato a lavorare sulla sceneggiatura di un nuovo progetto: “Parla di paura e paranoia, di privatizzazione della sicurezza - una cosa che ritengo terribile. Volevo parlare di questo tema anni fa, ma avevo la sensazione che non fosse il momento adatto. La pellicola è diversa dalle prime due, è un film di genere incentrato sulla tensione prima della verità”.

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