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Nadia Kamel • Regista

Arab Spring

di 

- "Non ho voluto filmare la rivoluzione sentendo che il mio coinvolgimento sarebbe stato diverso senza la telecamera"

Nata nel 1961 al Cairo, ha lavorato con Youssef Chahine, Yousry Nasrallah, Nabil Ayouche. Il suo ultimo film, Salata Baladi, è uscito nel 2008.

Ha filmato la rivoluzione in Egitto? Come si può filmare la rivoluzione, con quale sguardo, quale stile?

Ho iniziato a fare riprese solo in un secondo momento... Non ho voluto filmare durante la rivoluzione sentendo che il mio giudizio e il mio coinvolgimento sarebbero stati diversi senza la telecamera. Oggi desidero intervistare la gente, seguirla nel loro divenire cittadini… Le domande sono profondamente esistenziali e poetiche, ciascuno ha il suo modo di analisi, è un momento rarefatto che andrà scomparendo.

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Cosa si aspetta, in quanto cineasta, dalle nuove istituzioni, in termini di produzione, conservazione e diffusione, per esempio?

Per essere onesti, in questo momento non mi aspetto nulla, il paese è ancora in rivoluzione, il vecchio regime è in guerra con il vento di cambiamento... Ma sogno delle istituzioni che con i loro fondi aiutino le piccole produzioni, una televisione che diffonda tutta la produzione degli ultimi anni, i film inediti, che marginalizzi l’élite del potere del vecchio regime, affinché si possa uscire da questo tunnel di corruzione culturale. Le idee sono numerose e il cinema indipendente è capace di reinventare il gusto della professione.

Come approfittare di questa libertà di espressione nuova e di questa eventuale apertura e cambiamento delle istituzioni?

E' chiaro che i cineasti devono cominciare a lavorare insieme più regolarmente, cosa che non era facile prima della rivoluzione a causa dell'atmosfera generale di corruzione, di non detto, di auto-censura, di mancanza di fiducia, di paura… Ma in realtà, le istituzioni non sono ancora pronte ad aprirsi né a cambiare.

Cosa si aspetta oggi dalle istituzioni e dai professionisti del cinema europeo?

Spero sinceramente che la lezione sia stata appresa : l'oppressione non ha bisogno di essere consolidata come in Siria o in Iran per essere estrema. Nel corso degli anni ho avuto delle sterili con gli europei che non hanno saputo veramente apprezzare l'ondata di cinema indipendente... La si è analizzata con gli occhi dell'esperto, ignorando la creatività della resistenza. Oggi ancora sento voci dire che noi abbiamo la fortuna di non essere la Siria. Secondo me bisognerebbe partire dal principio che l'Egitto è in rivoluzione, che il suo cinema indipendente è un cinema creativo e che bisogna imparare a leggerlo per capire la società che rappresenta. Più ascolto e apertura verso gli indipendenti del cinema egiziano e una piccola rilettura dei loro film sarebbe utile ai professionisti del cinema europeo per comprendere molte cose.

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