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Miguel Gomes • Regista

Il “Paradiso” e il ‘Paradiso perduto”

- Il regista portoghese ha presentato il suo terzo lungometraggio, Tabu, in concorso alla 62ma Berlinale, dove il film è stato premiato.

Dopo aver fatto parlar di sé a Cannes nel 2008 con Our Beloved Month Of August [+leggi anche:
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, il regista portoghese Miguel Gomes ha presentato il suo terzo lungometraggio, Tabu [+leggi anche:
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, in concorso alla 62ma Berlinale, dove il film è stato premiato. Alcuni estratti della conferenza stampa.

Qual è stata l'influenza del cinema muto tedesco, in particolare quello di Murnau, sul suo ultimo lavoro?
Miguel Gomes: Solitamente cerco di non citare i film, ma devono essere da qualche parte nel mio inconscio. Da giovane, ho seguito un ciclo di film di Murnau trasmesso dalla nostra televisione pubblica, cosa che oggi sarebbe inconcepibile. Lo scopo, in questo film, non era di citare film di Murnau in particolare. Non volevo chiudermi o escludere la gente che non avrebbe colto i riferimenti. Per quanto riguarda Murnau, penso che fosse un grande cineasta e che se hai un cuore, non puoi rimanere indifferente ai suoi film.

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In Tabu, gioca con l'esotismo così come veniva presentato negli anni '30, ma mentre propone una sorta di idealizzazione di questo esotismo, critica il colonialismo. Perché questa opposizione?
Colonialismo ed esotismo possono coesistere. Non credo ci sia bisogno di dare il buon esempio o dimostrare che il colonialismo fosse una brutta cosa. Non si è obbligati a partire da questo genere di tesi. Mentre lavoravo al film, ho incontrato delle persone che facevano parte di una band in Mozambico. Mi hanno detto che mantenevano un legame molto stretto con il loro paese. Hanno fatto dei commenti che non mi trovavano del tutto d'accordo sul piano politico, ma hanno anche descritto quello che avevano vissuto laggiù, e questo mi ha sconvolto. Detto ciò, si può avere questo tipo di reazione emotiva indipendentemente dal posto da cui si proviene o dal regime politico che si è conosciuto. Credo che ci siano cose strettamente legate alla giovinezza. E' una delle ragioni alla base della struttura del film. Il mio film parla sia di vecchiaia che di giovinezza. Parla di solitudine e, al contrario, della possibilità dell'amore. Come in tanti film muti (compresi quelli di Murnau), il mio traccia un contrasto forte, una dicotomia tra "Paradiso" e "Paradiso perduto". E' quell'opposizione che volevo rilevare. Nella seconda parte, c'è una storia d'amore e la cronaca di un'epoca. Si può condannare implicitamente la società dell'epoca e il regime coloniale. La gravidanza che sopraggiunge simbolizza il boom demografico che sta per esplodere. Gli eventi del film non sono in corso di sviluppo, attraversano diverse tappe fino a che le cose non trovano la loro conclusione naturale. Si può dire questo sia del colonialismo che della storia d'amore, che è condannata al fallimento…

Come ha diretto i suoi attori?
Abbiamo lavorato in modo differente per la prima e la seconda parte. Per la prima parte, avevamo uno script e abbiamo provato diversi mesi. Per la seconda, abbiamo avuto l'idea molto divertente di mettere da parte la sceneggiatura. Ringrazio in particolar modo gli attori della seconda parte perché il loro lavoro è stato alquanto ingrato. Conoscevano in grandi linee la trama di quello che succedeva, sapevano che c'era una storia d'amore e una specie di coccodrillo romantico, sapevano come la storia andava a finire, ma non sapevano esattamente quello che dovevano fare. Ci vuole molta fiducia, generosità e devozione ad accettare una cosa del genere. Di tanto in tanto, chiedevamo cose che devono essergli parse assurde.

Tante storie per un solo film: colonialismo, storia d'amore, religione… Se si dovesse definire il tema principale, quale sarebbe?
Non amo le idee centrali. Il punto di partenza della storia è il racconto di un mio parente, che mi parlò di una vecchia donna infastidita dalla sua domestica perché trovava che lei si impicciasse troppo della sua vita. Non sembra materia per un romanzo o un film, è una cosa molto quotidiana, e volevo che questo tono si ritrovasse nella pellicola. Quando la gente razionalizza troppo e si concentra sulle idee, arriva a dire "c'è bisogno di una scena per dimostrare questa idea". E' una costruzione razionale. Questo approccio non mi interessa. Per me, la struttura dei film è molto più naturale.

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