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Abdellatif Kechiche • Regista

"Una grande ammirazione per la gioventù di oggi"

di 

- Abdellatif Kechiche spiega come ha lavorato per realizzare lo straordinario La vita di Adele, Palma d'Oro al Festival di Cannes 2013.

Incontro nel pomeriggio precedente la presentazione ufficiale di La vita di Adele [+leggi anche:
recensione
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intervista: Abdellatif Kechiche
scheda film
]
, in concorso al 66mo Festival di Cannes, con un Abdellatif Kechiche disteso e visibilmente esausto, probabilmente per il rush finale al montaggio del suo film che ha incantato la critica (recensione) sulla Croisette.

L’adolescenza, specialmente quella femminile, è un tema che affronta in diversi suoi film. Che cosa la colpisce di questo periodo della vita?
E' forse più un'epoca, la gioventù. C'è sempre qualcosa di adolescente dentro di noi. E' un momento così decisivo della vita. Ma credo di provare una grande ammirazione per la gioventù di oggi, in confronto alla mia che era tanto più chiusa, bloccata. Ora osservo una gioventù talmente libera, aperta, all'ascolto del mondo, impegnata, che questa emozione che mi procura, ho voglia di mostrarla, mostrare i personaggi mentre danzano, manifestano, ridono o litigano. La passione e l'energia che si sprigionano dalla gioventù di oggi mi danno come una sorta di speranza nel futuro. Trovo bella questa gioventù anche perché non guarda più, o guarda di meno, alle differenze sessuali, razziali, economiche, etniche e comunitarie.

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Perché ha scelto di non trattare la dimensione tragica presente nel fumetto Le bleu est une couleur chaude da cui è tratto il suo film?
Il tema della rottura è comunque doloroso. Ma il film mostra più l'idea di ciclo, di nuovo inizio, di speranza, apertura e di cammino che continua. Questo dolore non è la fine della storia. Gli incontri, le gioie e le pene che passano e si trasformano sono esperienze della vita. L'idea era che ci si forma anche così e forse c'è qualcosa di più positivo in questo film che non in quelli precedenti.

Perché ha deciso di raccontare una storia omosessuale con scene di sesso esplicite trattandola semplicemente come una passione in cui ognuno può identificarsi?
E' successo naturalmente, direi. Mi sono interrogato molto poco sul tema dell'omosessualità. Non mi sono quasi reso conto, se non in pochi momenti delle riprese, che si trattava di due donne. Guardavo due personaggi che si amano. Ad ogni modo, è contato poco durante tutto il processo. Ma non è qualcosa che ho voluto mettere da parte. E' andata così: era più un'interrogazione sui rapporti amorosi. 

Il film evoca molto la pittura e l'arte in generale. Adèle Exarchopoulos è stata una musa, un modello da scolpire cinematograficamente?

Adèle sicuramente, ma anche Léa, Hafsia. Ogni volta che incontro un'attrice, diventa effettivamente una sorta di musa e voglio che sia sempre fonte d'ispirazione. E' così che vedo il personaggio, mi pongo interrogativi intorno all'idea di un essere che diventa fonte d'ispirazione, il momento in cui è oggetto, quello in cui è guida. Quanto all'estetica, ho provato, più che nei miei film precedenti, a lavorare sui colori, i toni, la luce.  

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