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Thomas de Thier • Regista

"Una raccolta di momenti felici"

di 

- Con The Taste of Blueberries, Thomas de Thier mette in scena una favola filosofica su una coppia anziana che riscopre le emozioni dell'infanzia. Cinergie l'ha incontrato

Thomas de Thier  • Regista

Thomas de Thier è sorprendente e paradossale così come il suo cinema. Con The Taste of Blueberries [+leggi anche:
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, mette in scena una favola filosofica su una coppia di anziani che, quasi arrivati al termine della vita, riscopre le emozioni dell'infanzia. Ne parla generosamente, eppure non racconta tutto. Dice sì, poi no, espone le sue teorie, quasi sicuro di se stesso e poi getta la spugna dicendo "io non lo so". I suoi capelli ingrigiscono ma ha uno sguardo da ragazzino. È presente, eppure è un po’ fra le nuvole, lontano da noi, da tutto. L'incontro con un cineasta ambizioso e modesto, dolcemente crudele e tenero come il suo ultimo film. 

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Cinergie: Tra Feathers in My Head [+leggi anche:
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 e The Taste of Blueberries, sono passati dieci anni. Ci siamo persi qualcosa? O questo film è stato particolarmente difficile da portare a termine?
Thomas de Thier
: Non vi siete persi niente (ride). Dopo Feathers in My Head, ho scritto insieme a Sophie Museur, la mia compagna, un film corale a grosso budget, che per il momento s’intitola Déluge, con una decina di personaggi principali, un po’ come Short CutsMagnolia. È un film molto complesso e ambizioso, e abbiamo presto capito che ci sarebbe voluto del tempo affinché entrasse in produzione. Poiché avevo voglia di girare, ho scritto abbastanza rapidamente la sceneggiatura di The Taste of Blueberries, ma alla fine, è stato difficile trovare i soldi: è un film piuttosto introspettivo su due anziani che costruiscono una contemporaneità insolita al cinema. Richiede degli spettatori generosi, ma anche dei produttori generosi, dei finanziatori che possano capire questo tipo di progetto e permettere a questo cinema di esistere. Dico “io”, ma c’è tutta un’équipe dietro di me, un’équipe che ha capito quel che volevo fare e mi ha incoraggiato. In ogni caso, fare un film è così difficile che posso solo lavorare a dei progetti che mi stanno a cuore. Non potrei fare un film ogni anno come alcuni. Avrei l’impressione di non aver fatto abbastanza maturare la mia pellicola, come se tralasciassi quel che veramente voglio dire. Sono un regista molto lento, è vero (ride). Ma ora ho due progetti che sono pronti per le riprese!

L’avventura del film è stata così difficile come lo è il film alla visione?
Non so come gli spettatori reagiranno al film. Ma quel che è difficile, è l’attesa prima dell’inizio delle riprese. Le riprese in sé sono state felicità allo stato puro. La grande difficoltà è stata il montaggio. Il film ha una struttura drammaturgica diversa da quella che si usa normalmente al cinema. Avanza su più di un livello di temporalità. C’è il presente, la realtà di queste due anziane persone che si ritrovano una volta all’anno e fanno un picnic. Il film racconta questo viaggio, un road-movie con molte sorprese. Ma a un altro livello, il racconto è narrato dalla voice off di questi personaggi, come se non fossero più là. Questa miscela crea uno scompiglio nello spettatore e lo spinge a fare un viaggio interiore. Nel montaggio, con Marie-Hélène Dozo, non abbiamo voluto raccontare tutto. Abbiamo voluto solamente mostrare questi momenti. Spetta allo spettatore costruire la storia. Spero che su 30 spettatori nella sala, ci siano 30 versioni del film alla fine. Evidentemente è sconcertante, ma se si guarda il film senza pregiudizi, accettando il fatto che la nostra vita esteriore si compone delle nostre multiple vite interiori, allora la storia sarà sicuramente semplice, credo. Due persone passano una giornata insieme, il film racconta il loro presente semplicemente, una giornata che sembra una raccolta di momenti felici, ma anche le loro vite interiori, i pensieri suicidi che le abitano.

Leggi il seguito dell’intervista su Cinergie.

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(Tradotto dal francese)

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