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Mathieu Amalric • Regista/attore

"Mia madre, sullo schermo, volevo fosse Monica Vitti"

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- Abbiamo incontrato il cineasta francese Mathieu Amalric a Roma, ai Rendez-vous - Appuntamento con il nuovo cinema francese, dove ci ha raccontato alcuni retroscena dei suoi film da regista

Mathieu Amalric  • Regista/attore

E’ noto ai più per il suo lavoro di attore, in film d’autore francesi come in grosse produzioni americane (I re e la regina [+leggi anche:
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, tra i tanti altri). Ma a Roma, ai Rendez-vous - Appuntamento con il nuovo cinema francese la cui quinta edizione si è svolta dall’8 al 12 aprile (leggi la news), Mathieu Amalric ha partecipato in veste di regista, vocazione primaria per questo cineasta che ha più volte dichiarato di essere diventato "attore per caso". Ospite della sezione Cineasti del presente a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia a Roma, Amalric ha accompagnato quattro dei suoi film da lui selezionati: dal suo esordio dietro la macchina da presa Mange ta soupe, a Le stade de Wimbledon, Tournée [+leggi anche:
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(premio per la miglior regia a Cannes) e l’ultimo suo lavoro tratto da Georges Simenon, La chambre bleue [+leggi anche:
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. Un’occasione per incontrarlo e conoscere più a fondo la sua visione da regista.

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Cineuropa: In un’intervista di qualche tempo fa, ha dichiarato che secondo lei un film non deve avere una funzione sociale e che un artista deve filmare per il semplice piacere di farlo. E’ sempre di questo avviso?
Mathieu Amalric
: Ho detto proprio così? In verità, cerco di non renderla troppo visibile. Tournée, sotto sotto, una funzione sociale ce l’ha, molti me ne hanno parlato dopo averlo visto: il gesto di queste donne 45enni non perfette che se ne fregano di photoshop ha un che di politico. Penso che il messaggio sia più efficace se è sottinteso, piuttosto che un film "contro l’eutanasia" o un film "per la Palestina". A priori mi sentirei prigioniero, e ho l’impressione che tutto ciò non abbia a che fare con il cinema, ma con l’ideologia. Per questo lo strumento della finzione è un buon filtro. Anche ne La chambre bleue c’è qualcosa, su cui abbiamo molto riflettuto. Il motivo per cui il protagonista è apatico: un uomo che mette tutta la sua energia nel raggiungere il successo e poi si ritrova chiaramente destabilizzato, tutto viene rimesso in discussione da ciò che avviene in quella stanza, che alla fine è la cosa più preziosa: il miracolo di due corpi che si attraggono.

Perché Simenon e perché La chambre bleue per il suo quinto film da regista?
E’ un produttore, Paulo Branco, che mi ha spinto a farlo. Ero da tre anni immerso in Stendhal, nel progetto di adattamento de Il rosso e il nero. Mi ha detto "smetti di scrivere e fai un film, fallo presto, in tre settimane!". Ho cominciato quindi a cercare tra i libri piccoli (ride). In realtà questo libretto blu lo conoscevo bene, mi era servito anche per la scena finale di Tournée, c’è quello stesso sentimento. C’è poi il tempo del ricordo e il tempo dell’inchiesta, ho pensato che il cinema avrebbe potuto esaltare questo. E’ una storia universale e atemporale. Il grosso lavoro di attualizzazione (il libro è del 1964, ndr) è stato sulla veracità dell’inchiesta: abbiamo rifatto tutto il dossier giudiziario. Comunque Il rosso e il nero forse non verrà girato mai, ma è sempre presente: la scena del processo di La chambre bleue riprende quel senso di estraneità che prova Julien Sorel al suo processo. Mi piace pensare che gli studi che ho fatto su Stendhal vengano poi distillati in altri film.

Probabilmente la rivedremo a Cannes nel nuovo film di Arnaud Desplechin, Trois souvenirs de ma jeunesse (esce in Francia il 20 maggio), prequel di Comment je me suis disputé... (ma vie sexuelle) dove torna, invecchiato, nel primo ruolo che le ha dato un César e la notorietà.
Non sappiamo ancora niente di Cannes, ma ho visto il film al mixaggio ed è sublime. Racconta l’incontro tra Paul Dédalus, protagonista di Comment… (ma il film si vede anche da solo, non è Star Wars, per intenderci), e il suo primo amore Esther, e poi lo vediamo oggi alla mia età. Il rapporto tra me e Arnaud è molto stretto: sono vent’anni che lavoriamo insieme, è un regista sempre più forte, va dritto al punto. Nel 1994 aveva bisogno di fare anche venti take, ora è sempre più veloce, uno o due ciak, è una sferzata di emozioni.

E’ vero che è un fan del cinema italiano, in particolare dei film di Nanni Moretti?
Moretti è stato molto importante per me durante l’adolescenza, lo abbiamo scoperto in Francia con Bianca. Ho visto dai cartelloni in giro, qui a Roma, che il suo nuovo film uscirà tra pochi giorni. Ho amato poi La messa è finita, Sogni d’oro, Palombella rossa, per motivi diversi. Mi incuriosisce Bellocchio, un regista un po’ misconosciuto, che alterna film straordinari a film non riusciti. Per non parlare, ovviamente, dei grandi degli anni ’60.

E’ italiana anche sua madre nella sua opera prima, autobiografica, Mange ta soupe: l’eccezionale Adriana Asti. Come l’ha scelta?
Mi divertiva enormemente avere una mamma esagerata, volevo fare una commedia. Avevo mandato anche una lettera a Monica Vitti (L’avventura di Antonioni è il primo film che vidi alla Cinémathèque), volevo che mia madre fosse lei. Poi ho visto Adriana Asti in un film di Bertolucci, Prima della rivoluzione, ci siamo incontrati e l’ho trovata una donna di un umorismo e di un istinto straordinari.

Progetti di regia futuri, oltre Stendhal?
Sono molto attratto dalla scrittura di Jean Echenoz, in particolare "Nous trois". Ma per ora no, non ne ho, sono in un momento di decantazione. Amo molto le commissioni, c’è un film per la televisione che mi è piaciuto moltissimo fare, l’adattamento de L’illusion comique di Corneille, per la Comédie Française. Queste commissioni della tv francese sono formidabili, Valeria Bruni Tedeschi ha rifatto Le tre sorelle di Checov, Desplechin La foresta di Ostrovskij… Ora ne ho una per l’Opéra de Paris, che ha un nuovo direttore e ha dato carta bianca a registi, scrittori, artisti, ecc. per creare qualcosa per la piattaforma Internet. Il progetto si chiama "Troisième scène", intanto mi occuperò di quello.

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