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Carlo Chatrian • Direttore, Festival del Film Locarno

"La sfida è di mostrare opere che hanno la forza necessaria per affrontare uno schermo enorme"

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- Carlo Chatrian, direttore artistico del Festival internazionale del film di Locarno, ci parla della 69a edizione

Carlo Chatrian  • Direttore, Festival del Film Locarno

Carlo Chatrian, dal 2013 direttore artistico del Festival del Film Locarno, sottolinea l’importanza della manifestazione locarnese come vetrina per grandi cineasti ormai affermati ma anche e soprattutto per nuove leve pronte a stravolgere i codici cinematografici.

Cineuropa: La maestosa Piazza Grande ospiterà quest’anno una grande varietà di film. Quali sono i criteri di selezione?
Carlo Chatrian:
Ovviamente sulla Piazza Grande determinate cinematografie – penso a quella americana e a quelle europee come la francese, la tedesca e l’italiana anche se il discorso è un po’ diverso – sono regolarmente presenti per via della forza produttiva che hanno alle spalle e dei codici linguistici proposti che il pubblico riconosce immediatamente. La vera sfida è quella di mostrare opere che vengono da altre cinematografie e che hanno la forza e potenza di immagini e di racconti necessari per affrontare uno schermo enorme come quello della Piazza. Quest’anno siamo stati toccati da racconti che vengono appunto da cinematografie che da tanti anni non erano rappresentate a Locarno. Penso per esempio al film del Mozambico, Comboio de Sal e Açucar, al film coreano Teo-neol o al film malese Interchange. La varietà dei film proposti è importante perché uno degli obiettivi che il festival si è prefissato è quello di aprire nuove strade per quanto riguarda il mercato cinematografico. In questo senso la Piazza Grande propone da un lato film attesi o che arrivano già con una distribuzione assicurata come nel caso di  Jason Bourne o dell’ultima fatica di Ken Loach I, Daniel Blake [+leggi anche:
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, ma anche film come il tedesco Paula o l’ultima fatica di Frédéric Mermoud Moka.

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Anche quest’anno sono molti i film svizzeri selezionati a Locarno. Pensa che la cinematografia elvetica goda di buona salute? Ritrova un fil rouge che unisce questi film al di là delle differenze linguistiche?
È difficile raggruppare la cinematografia svizzera in una sola tendenza, da un lato perché è strutturata in base alle tre principali regioni linguistiche e questo significa che ogni produzione ha in qualche modo un mercato di riferimento diverso, e dall’altro perché ritroviamo storicamente due linee direttive, due scuole: documentario e finzione. Per questa nuova edizione abbiamo considerato tutte queste diversità. Quest’anno siamo felici di programmare, nella sezione Cineasti del presente, anche due film provenienti dal Ticino. Oltre ai film di finzione che quest’anno rappresentano la maggioranza, ritroviamo anche un lavoro documentario fuori concorso del grande documentarista svizzero Nicolas Wadimoff Jean Ziegler, l’optimisme de la volonté [+leggi anche:
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. Da un punto di vista generazionale mi fa piacere sottolineare, ed è una tendenza che il cinema svizzero ha messo in evidenza negli ultimi anni, che due film in Competizione internazionale sono stati girati da due giovani registi: l’esordiente Michael Koch, e Milagros Mumenthaler vincitrice del Pardo d’Oro nel 2011. Entrambi i film (Marija [+leggi anche:
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intervista: Michael Koch
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e La idea de un lago [+leggi anche:
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intervista: Milagros Mumenthaler
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) non sono stati girati in Svizzera. Milagros Mumenthaler ritorna in Argentina dove ha studiato e dove ha le sue radici familiari e Micheal Koch in Germania. È una Svizzera multiculturale che come ha fatto spesso negli ultimi anni ama guardare oltre i suoi confini.

Ci potrebbe consigliare qualche film assolutamente imperdibile e alcuni registi da tenere d’occhio?
Il programma di quest’anno ha come sua caratteristica di fondo quella di puntare sui giovani registi, sui nomi meno noti. Quest’anno il Festival di Locarno ha riservato uno sguardo particolare, anche se non era uno scopo sin dall’inizio, alle cinematografie del sud dell’Asia e questo è anche in parte riconducibile alla sezione Open Doors. Tra i vari film ne scelgo uno che rappresenta quel punto di incontro tra persone, culture e nella fattispecie produttori diversi. Si intitola Hema Hema ed è l’ultima produzione del regista bhutanese Khyentse Norbu, un personaggio importante nel suo paese a livello religioso e culturale. Il suo ultimo film è estremamente ancorato nella tradizione del suo paese ed è il frutto di una coproduzione tra un grande produttore inglese Jeremy Thomas e un giovane produttore del Bhutan. Questo è un ottimo esempio di punto d’incontro tra un sistema produttivo europeo e un altro del Sud-est asiatico.

Un esempio di film che si avvicina di più a quello che si chiama comunemente cinema d’autore è il nuovo lavoro, in Concorso internazionale, del regista argentino residente a New York Matìas Piñeiro. Hermia&Helena parla dell’essere sradicati dal proprio paese e del confronto tra culture diverse, in questo caso tra una cultura latina e una cultura nordamericana. E’ un esempio di un autore che arriva con un suo universo particolare, unico. Il terzo esempio è The Challenge dell’artista italiano Yuri Ancarani. Con The Challenge Ancarani è riuscito ad unire la sua passione per la modernità ad una tradizione molto antica come quella della falconeria regalandoci delle immagini del Qatar mai viste prima.

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