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William Oldroyd • Regista

“'Melodramma', in inglese, ha un senso dispregiativo"

di 

- SAN SEBASTIAN 2016: Il regista inglese William Oldroyd ha presentato in concorso Lady Macbeth, la storia di una donna che non accetta quello che un destino imbellettato ha in serbo per lei

William Oldroyd  • Regista
(© Lorenzo Pascasio)

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intervista: William Oldroyd
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, opera prima dell’inglese William Oldroyd, regista teatrale, e ora anche di cinema, che si è rivelata al concorso per la Conchiglia d’oro della 64ma edizione del Festival di San Sebastian. Abbiamo intervistato il regista per scoprire qualcosa in più sul film.

Cineuropa: Come ha affrontato la sfida di rappresentare un personaggio così speciale come Katherine?
William Oldroyd: Quando Alice Birch lo ha scritto, sapevamo che avrebbe attratto molte buone attrici. Chi non vorrebbe questo ruolo? Che si tratti di un uomo o di una donna, è il personaggio che è grandioso. Siamo stati fortunati ad aver trovato qualcuno che lo abbia interpretato così bene. Quando abbiamo incontrato Florence Pugh, abbiamo capito subito che era lei quella giusta; è stata una decisione molto veloce, non abbiamo avuto dubbi. Ma abbiamo dovuto cercare un bel po’ prima, a dire il vero abbiamo incontrato attrici da tutta Europa.

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Il material originario è molto interessante. Può dirci qualcosa su come lo ha trasformato per il film?
La drammaturga (Birch) mi ha portato il libro (Lady Macbeth del Distretto di Mcensk di Nikolai Leskov) e mi ha detto “Questo potrebbe diventare un bel film”. Ed eravamo abbastanza sorpresi che non ci fossero già stati adattamenti per il cinema. Sapevamo che c’era un’opera con alcuni elementi di melodramma, che non volevamo assolutamente mantenere nel film, perché “melodramma”, in inglese, ha un senso dispregiativo. Il brutto melodramma, ovviamente, quello ben fatto no, ma abbiamo questo strano rapporto con il concetto. Così una volta discusso della sinossi e di come trattare il materiale, sapevamo esattamente su cosa lavorare insieme, e la sceneggiatura ha pian piano preso forma. Diciamo anche che il libro contiene una bella storia, ma niente di più; è abbastanza semplice in termini di elementi narrativi, anche se poi quello che è finito nel film è più o meno quello che era già nel libro, fatti salvi alcuni cambiamenti, come il finale. Alice è stata particolarmente acuta nel tirare fuori dei personaggi realistici, nello sviluppare la loro psicologia.

Come è stato il passaggio dalla regia teatrale a quella per il cinema?
Prima di tutto ho dovuto capire come andava realizzata, perché dirigere uno spettacolo teatrale è molto diverso dal dirigere un film. Avere in mano una macchina da presa cambia tutto. Ho parlato con molti registi cinematografici e ho guardato molti film prima di rendermene conto. A seconda di quello che vuoi mostrare è molto importante il modo in cui utilizzi la macchina da presa. All’inizio la posizionavo semplicemente nel punto in cui sarebbe stato il pubblico in un teatro. Quando guardiamo uno spettacolo siamo noi stessi spettatori a selezionare le immagini, scegliamo noi dove guardare. Ma in un film, questa scelta spetta al regista. Quindi per me era normale lasciare questa possibilità al pubblico, ma in un film ci si aspetta che sia il regista a dire: “Devi guardare qui”. Per la verità, ho lavorato con la macchina da presa quando ero al college, quindi è stato un po’ un tornare indietro. Avevo realizzato dei lavori sperimentali con l’immagine e delle opere multimediali. Ho lavorato in stretta collaborazione con il montatore (Nick Emerson), col direttore artistico (Jacqueline Abrahams) e con il nostro direttore della fotografia (Ari Wegner)... E’ stata una transizione difficile all’inizio, ma sono molto felice del risultato. E penso sia davvero importante lavorare con dei buoni collaboratori. Noi ci siamo preparati a lungo su questo.

Come è riuscito a farsi finanziare dall’industria inglese?
C’era una certa somma stanziata da iFeatures, il programma regionale gestito da Creative England che sostiene la realizzazione di film a piccoli budget, poi c'era il supporto dalla BFI e dalla BBC Films, quindi abbiamo semplicemente inviato la nostra candidatura. Nella fase di seconda presentazione della sceneggiatura, siamo stati selezionati, insieme ad altri due film, su oltre 300 candidati. Il processo di selezione è durato un anno, in tutto, e si è basato su una scelta meritocratica. Avevano detto che avrebbero scelto il migliore, e noi abbiamo ragione di credergli.

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(Tradotto dall'inglese)

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