email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

Maryam Goormaghtigh • Regista

"Anche nella vita si passa molto tempo a navigare tra fiction e realtà"

di 

- Incontro con la regista Maryam Goormaghtigh, che ha affascinato il pubblico dell'ACID a Cannes con la sua luminosa commedia-road movie Avant la fin de l'été, lanciata in Francia il 12 luglio

Maryam Goormaghtigh • Regista

Cineuropa: Lei è di nazionalità svizzera, francese e belga (e di origine iraniana, da parte di sua madre), è nata a Ginevra e ha studiato all’INSAS di Bruxelles. Questo mélange culturale influenza il suo lavoro come regista?
Maryam [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Maryam Goormaghtigh
scheda film
]
Goormaghtigh
: Per questo film penso di sì, perché l’ho iniziato per un bisogno di riallacciare con la cultura iraniana che non conoscevo bene. Sono nata e cresciuta in Svizzera e non mi è stata trasmessa la lingua persiana. Ho cominciato a prendere lezioni di persiano ed è un po’ imboccando questa strada che ho incontrato i miei tre personaggi. Li ho sentiti parlare in persiano in un bar a Parigi e abbiamo fatto amicizia. Sono stata subito attratta da questi personaggi. Si tratta di un incontro molto caloroso. La mia videocamera è diventata poco a poco immancabile durante i nostri incontri. Ho cominciato molto presto a filmarli e questo per quattro anni. Il film è stato fatto in molto poco tempo: è stato girato in due, tre settimane ma in realtà ho filmato questi personaggi per tre, quattro anni.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Avant la fin de l'été è un film che mischia perfettamente documentario e finzione. Ha volutamente evitato di rinchiudersi in un’etichetta?
Penso di non essermi posta veramente la questione. Non ho fatto il film dicendomi: faccio un documentario o una fiction. Non avevo vincoli perché non avevo una vera produzione alle spalle. Non dovevo scrivere una sceneggiatura. Sono partita all’avventura, in maniera un po’ selvaggia. E’ stato tutto spontaneo e penso che anche nella vita si passi molto tempo a navigare tra fiction e realtà: si devono portare diverse maschere, si interpreta un ruolo. Uno dei miei attori mi ha detto che se gli domandassero se recita o meno, non saprebbe cosa rispondere. Eravamo tutti in una sorta di evanescenza totale. Abbiamo fatto un film, tutto qua!

Il suo film colpisce per la sua atmosfera al contempo intima e universale. Come ha lavorato con gli attori per ottenere questo risultato?
Per tutti gli anni che ci siamo frequentati, li ho filmati in maniera un po’ documentaristica. Ho posto loro molte domande sul loro perscorso di vita, ecc. Li ho filmati, e dopo ho utilizzato questo materiale per "scrivere" il film. Sapevo ad esempio che in un certo momento del racconto, volevo che si sapesse qualcosa di più sull’uno o sull’altro personaggio. Ho dato allo spettatore delle piste. Chiedevo ad esempio a uno dei personaggi di porre una domanda agli altri e filmavo. Sapevo più o meno cosa volevo raccontare, ma non sapevo che forma avrebbe preso. Tutto ciò che filmo è reale, spontaneo. Caricano in autostop due musiciste, ma non le conoscono affatto. Naturalmente ci hanno dovuto mettere del loro, ma ciò che ci ha sorpreso a tutti, alla fine, è che si sono lasciati prendere dal gioco, e anche le ragazze. Mi hanno offerto un terreno enorme in cui improvvisare con la realtà e talvolta anche provocarla.

Quali sono le sue influenze e che consigli darebbe a chi vuole diventare regista?
Rispetto a questo film, non avevo delle vere influenze e dei film in testa. Guardo molti film, ma in questo caso specifico sono i personaggi che mi hanno ispirato. Ci sono molti registi che apprezzo enormemente, che fanno i loro film in maniera molto libera, e che se li producono da soli, come ad esempio Alain Cavalier o Abbas Kiarostami. Gente che ha una maniera molto coraggiosa di lavorare. Se devo parlare di riferimenti, ci sono i film Giorni e notti nella foresta di Satyajit Ray, sorta di "a porte chiuse" tra ragazzi e Le plein de super di Alain Cavalier, che è anch’esso un road movie tra trentenni. Se dovessi dare un consiglio a un giovane cineasta, sarebbe forse, e non so neanche se è un buon consiglio, di lavorare come ho fatto io perché ho fatto tutto al contrario. Sono stata sul set, poi ho cominciato a cercare finanziamenti, poi ho atteso di aver girato il film per poter riscrivere alcune scene. Penso che sia il modo migliore per restare liberi. Oggi le videocamere non sono più così care. Ho fatto il mio film da sola. Penso che sia possibile, bisogna seguire le proprie intuizioni e non lasciarsi troppo impressionare dalla tecnica, che alla fine non è così importante.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dal francese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy