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Jean Henry Roger

La doppia vita di Lulù

di 

- Il regista francese, collaboratore di Godard negli anni '60, ha presentato il suo nuovo film: un noir girato nell'ambiente dei trans

Jean-Henry Roger è stato collaboratore alla fine degli anni '60 di Jean-Luc Godard nel gruppo Dziga Vertov. Qui a Pesaro ha presentato il suo lungometraggio Lulù, film girato in alta definizione che ha per interpreti, tra gli altri, i registi e amici di Roger: Tony Gatlif, Mathieu Amalric e Robert Guediguian.
Lulù è un transessuale che cerca di mettersi alle spalle una vita fatta di prostituzione e losche relazioni. Ora possiede un locale nella Camargue e nessuno sembra interessarsi più a Lucien, l'alter ego di Lulù. Ma il passato non muore mai e ognuno prima o poi è costretto suo malgrado a fare i conti con il proprio lato oscuro. Il film di Roger è perciò un noir nel quale ogni personaggio, non solo Lulù, si confronta con la propria identità.

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Il suo film è ispirato a luoghi reali e ad un personaggio che esiste davvero e che possiede un bar dove in molti accorrono.
"Sì, è vero. Il locale che voi vedete e anche la casa di Lulù sono effettivamente di un transessuale. Ad ogni modo, a parte questo spunto tratto dalla realtà, tutto il resto è inventato. Ciò che mi interessava mostrare era il lato oscuro che ognuno di noi possiede e che si tende a reprimere o a nascondere perché non accettato dalla comunità. Tutti i personaggi del film e il paesaggio stesso, la Camargue, hanno la caratteristica principale di essere tra terra e acqua, tra bianco e nero. Per mettere in evidenza tutto ciò, ho scelto il genere noir. C'è un delitto che porterà i protagonisti ad affrontare una crisi esistenziale che poi dovrà essere per forza superata percorrendo una strada nuova e facendo una scelta netta".

Come mai la scelta di girare in alta definizione?
"In primo luogo non avevo molti soldi a disposizione per il 35mm. Perciò quando ho saputo che la Sony dava in dotazione la sua nuova camera gratuitamente, ho deciso di provarla e vedere se effettivamente valesse la pena usarla. Con il direttore della fotografia Renato Berta abbiamo fatto dei test e l'esito è stato più che soddisfacente. La stabilità cromatica era ottima e le scene girate di notte avevano una buona risoluzione. In più, avendo intenzione di fare dei lunghi piani sequenza, questo tipo di camera era perfetta. Certo se avessi avuto un finanziamento superiore avrei preferito usare il 35mm".

Perché, invece, non ha usato il digitale leggero?
"Ad essere sincero, detesto le videocamere e i movimenti schizofrenici di certi registi che non pensano più alla storia, ai luoghi e alla caratterizzazione dei personaggi ma solo ad agitare freneticamente il loro strumento di ripresa. Ci vuole calma e riflessione. Questo non significa che anche con le videocamere non si possano realizzare dei buoni film. Il fatto è che la questione primaria resterà sempre il talento".

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