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Samu Fuentes • Regista

"Voglio che il film sia un’esperienza sensoriale"

di 

- Il cineasta asturiano Samu Fuentes debutta alla regia di un lungometraggio di finzione con Bajo la piel de lobo, presentato in prima mondiale al 14º Festival del Cinema Europeo di Siviglia

Samu Fuentes  • Regista
(© David Vico / SEFF)

Bajo la piel de lobo [+leggi anche:
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intervista: Samu Fuentes
scheda film
]
è il film d’esordio di Samu Fuentes dopo il documentario Miraflores. Protagonisti di questa pellicola che si svolge in mezzo alla natura sono Mario Casas, Irene Escolar e Ruth Díaz; le ultime due e il regista sono venuti a Siviglia per presentare il film, fuori concroso, all’edizione numero 14 del Festival del Cinema Europeo. All’hotel sede della manifestazione, abbiamo parlato con il cineasta asturiano.

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Cineuropa: Come si è documentato per trattare un tema così rurale?
Samu Fuentes: Abbiamo parlato con persone che hanno vissuto all’epoca dei guardiacaccia, e ci hanno spiegato come mettevano le trappole e seguivano le orme degli animali. Ci hanno descritto anche il carattere di queste persone isolate. Abbiamo letto cose sui cacciatori e abbiamo parlato con gente che ha vissuto così: Mario Casas ha trascorso diversi giorni con loro, per sperimentare come viveva un uomo da solo e come si rapportava con gli animali.

La prima mezz’ora di Bajo la piel de lobo non contiene quasi dialoghi.
Era la scommessa del film: che la fotografia, le location e il suono aiutassero il pubblico a sentirsi come i personaggi; volevo che la gente, guardando il film, non ascoltasse la trama, ma la sentisse. Né vogliamo giudicare i personaggi con lo script, piuttosto mettiamo il pubblico in quel tempo e in quello spazio, in modo che capisca le loro azioni.

Sì, perché la sessualità del protagonista risulta piuttosto machista e animale...
Era questo il nostro riferimento: che il personaggio di Mario fosse come un lupo lontano dal resto del branco, molto sessuale, scarno e brutale. Egli cerca di formare una famiglia, ma non sa farlo in un altro modo: non sa come mostrare affetto.

E’ stato difficile girare in mezzo alla natura?
Abbiamo girato nelle Asturie: c'è una zona meno nota, di grande bellezza, con fiumi, foreste, grotte e mulini che ancora funzionano. Anche in un borgo medievale. L'altra parte della montagna, sempre ricoperta da neve, l’abbiamo filmata a Huesca. Sono state sei settimane di riprese e il clima ha condizionato: abbiamo dovuto affrettarci perché c'era il rischio di perdere il ghiaccio necessario. Abbiamo anche dovuto ricreare le quattro stagioni nello stesso spazio territoriale e in breve tempo.

La pellicola ricorda Dersu Uzala e Jeremíah Johnson.
Sì, soprattutto la parte iniziale, che mostra un personaggio in costante relazione con il suo ambiente. Volevamo che il film avesse quel tocco di realtà, che fosse credibile, con piani molto lunghi e che ciascuno di essi fosse molto pittorico: che fosse aperto all’interpretazione.

Quali aiuti ha ricevuto per metter su un progetto così particolare?
Abbiamo avuto l’aiuto di TVE e dell’ICAA, un AIE con investimento privato, e del Principato delle Asturie e il Governo di Huesca. Per il ruolo protagonista abbiamo parlato con Sergi López e Antonio de la Torre, ma alla fine ha potuto farlo Mario Casas. In precedenza, ho cercato di imparare lavorando sui set, nel team di regia o di produzione: ho visto come funzionano e ho capito che è necessario creare una buona atmosfera in entrambi i reparti. Ho fatto un documentario su un centro di detenzione per minori nelle Asturie ed è stata una grande esperienza. Voglio tornare ancora a quella realtà sociale, ma stavolta con un film di finzione, perché ho ottime informazioni e di prima mano.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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