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Emmanuel Finkiel • Regista

“Gioco la carta della soggettività totale”

di 

- Abbiamo incontrato il regista francese Emmanuel Finkiel al Festival del Cinema Europeo di Les Arcs per parlare del suo nuovo film, La Douleur

Emmanuel Finkiel • Regista
(© Antoine Monié / Les Arcs European Film Festival)

Presentato in concorso a San Sebastian, La Douleur [+leggi anche:
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è il quinto lungometraggio di Emmanuel Finkiel dopo Voyages (Quinzaine des réalisateurs 1999, César 2000 alla migliore opera prima), Nulle part terre promise [+leggi anche:
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(Premio Jean Vigo 2008), il documentario Je suis (2012) e Je ne suis pas un salaud [+leggi anche:
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(nomination ai César e al Premio Lumières 2017 per il migliore attore). Cineuropa ha incontrato il cineasta in occasione del nono Festival del Cinema Europeo di Les Arcs, dove ha presentato il suo nuovo film (in uscita in Francia il prossimo 24 giugno) nella sezione Playtime.

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Cineuropa: Quando le è stato proposto di adattare Il dolore di Marguerite Duras, quale è stata la sua reazione?
E
mmanuel Finkiel: All'inizio è stato un po' inquietante. Parliamo di una cosa maestosa, in un certo senso: innanzitutto si tratta di Duras, poi è un racconto particolare perché tocca la sua biografia. È un racconto che avevo letto quando avevo 20 anni e che aveva sconvolto me, come molti altri. Faceva eco a delle cose che ritrovavo nella mia famiglia, in particolare in mio padre, che era in una situazione di attesa; un'attesa nella certezza che i suoi genitori e il suo fratellino minore non sarebbero mai tornati da Auschwitz. Ho visto questo quando ero bambino, sentivo la sua attesa.

Come ha proceduto alla scrittura della sceneggiatura? Ha fatto molte ricerche?

Mi sono nutrito di moltissime immagini d'archivio e alcune sono incredibili, riprese di nascosto di persone che attraversano Parigi. Per quanto concerne il processo di adattamento, il mio metodo è stato semplicemente quello di prendere le cose che più sentivo mie. Ciò che mi sembrava più significativo, più bello, più profondo, ecc., lo mettevo da parte, e piano piano l'adattamento si è costruito da sé, senza che mi forzassi in alcun modo a trattare questo o quello, perché si trattava di Duras. Mi sono detto: è a me che hanno chiesto di farlo, e allora gioco la carta della soggettività totale.

Lei scava nelle contraddizioni e nei paradossi di questa donna.

Credo che il dolore che lei descrive non sia qualcosa che si possa raccontare con due frasi, ma una massa; un po' come un quadro cubista, in cui il dolore è declinato sotto molti aspetti. Lì dentro c'è la vergogna, forse anche quella di aspettare suo marito, ma di non sentirsi il tipo di donna che gli sarebbe stata completamente devota, un'attesa e una sofferenza che non sono pure. È noto che avesse un amante, Dionys, anche se nel film viene mostrato molto poco, perché nel suo racconto in Il dolore, lei non dice nulla della loro relazione. In un certo senso, è una bugia taciuta... È per questo che ho diviso il personaggio in due, nel film: mi sono detto che l'altra parte è quella che non si inganna. Capita a volte nella vita, nei momenti più potenti, di rabbia o di dolore, di sentire una dicotomia tra quello che esprimiamo agli altri e quello che sentiamo veramente. Anche questo, è un aspetto che potremmo far rientrare nel dolore.

Cosa c'è alla base della maniera molto personale di girare sfocando le immagini?

Io uso una focale lunga. L'ho sempre fatto, perché penso che corrisponda al nostro modo di vedere, contrariamente a quello che il nostro cervello ci fa credere, ricostituendo una focale neutra. In realtà, se ci fermiamo ad analizzare i differenti momenti della percezione, quando ci guardiamo l'un l'altro, ci rendiamo conto che ciò che sta dietro la cosa osservata rimane fuori fuoco: siamo sempre in una focale media. E se mi voglio divertire a guardare qualcuno più lontano, mettendolo a fuoco, passo a una focale lunga e il resto diventa sfocato. Penso dunque che sia così che vediamo. E siccome l'idea era quella di rimanere ancorato alla soggettività della protagonista, di cercare di far sentire quello che lei sente, far percepire attraverso di lei la Parigi dell'epoca e i personaggi che la circondavano, la focale lunga è stata quella che meglio ha permesso di rimanere centrati sul personaggio e di mostrare il resto come una specie di massa relativamente indistinta, che è la materia nella quale il personaggio evolve e dalla quale è influenzato. In questo film, mi sono spinto un po' più in là, cercando di introdurre delle variazioni, e capita a volte che il personaggio resti sfocato, mentre il resto è a fuoco; anche questo ci capita spesso: avere una percezione di noi un po' arretrata rispetto a ciò che ci circonda.

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(Tradotto dal francese)

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