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Maja Weiss - Regista

Il cinema oltre i confini

I confini, il rapporto tra madri e figli, il sesso, laicità e cattolicesimo. Sono alcuni dei temi esplorati con coraggio in questi anni da Maja Weiss, regista, tra i pochi filmaker sloveni ad aver avuto successo nelle sale europee. Varuh Meje (Il guardiano della frontiera) del 2002 è stato selezionato in molti festival ottenendo anche premi, come il Manfred Salzgeber alla Berlinale 2002 come "film più innovativo". A Maja Weiss il festival Crossing Europe di Linz ha recentemente dedicato una personale, insieme a suo marito, il musicista e regista tedesco Peter Braatz. Un solo lungometraggio ma diversi documentari lunghi (nel '97 realizzò Trieste on the border, con Boris Pacor, Fulvio Tomizza e Claudio Magris), parecchi corto e mediometraggi e lavori per la televisione nella carriera della regista di Novo Mesto.
Il prossimo film, Installations of Love, ora in fase di sceneggiatura, parlerà d'amore. Ma al centro della maggior parte dei suoi film, da Cesta Bratstva in Enotnosti (La strada della fraternità e della fratellanza) a Varuh Meje, c'è il tema della frontiera e del confine.

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È una scelta legata alla storia recente del suo Paese?
In un certo senso sono riflessioni sulla storia attraverso ciò che aveva avuto a che fare con me in passato. Cesta Bratstva in Enotnosti l'ho girato nel novembre '98, un po' come se fosse un road movie dalla Slovenia alla Macedonia. Ma l'idea era di alcuni anni prima, farlo era una mia necessità personale. Quella strada, quei luoghi erano parte del mio Paese quando ero giovane. Ho cercato di raccontare, attraverso il viaggio e gli incontri, la storia dell'ex Jugoslavia dall'interno, dal punto di vista di qualcuno che ci aveva vissuto, non di chi arriva da fuori.

Da dove arriva invece l'idea di Varuh Meje?
Sono cresciuta nella vicinanze di quel fiume, il Kolpa, che ora divide Slovenia e Croazia. Facevo il bagno nel fiume, non c'erano confini allora. Ora c'è il confine di dei Paesi dell'area di Schengen, dovrei dire che c'è il confine tra l'Unione Europea e il resto del mondo. Ora là c'è molta polizia, è curioso, è un luogo turistico con molti poliziotti che arrivano a vivere là. Al contrario i giovani del luogo se ne vanno verso Lubiana o altre città perché non c'è lavoro. E i paesi stanno in questo modo cambiando volto. Nella storia ho inserito anche altri temi, la xenofobia, il sesso (cosa è normale e cosa non lo è) o osservazioni sul linguaggio. Lo scrissi con Zoran Hocevar, con il quale sto lavorando anche al prossimo film Installations of Love, che spero di girare l'anno prossimo. Hocevar è uno scrittore di sessant'anni nato nel mio stesso paese con il quale ho una visione del mondo simile. Per girare Varuh Meje ho dovuto aspettare 4 anni per avere i soldi necessari, poi sono rimasta sorpresa dal successo che ha ottenuto: su Arte in Germania ha ottenuto più di un milione di telespettatori.

Di cosa parlerà Installations of Love? Sarà ancora legato al tema del confine?
Il nuovo film parlerà d'amore e di arte. Le riprese dovrebbero essere a Lubiana, spero di avere finanziamenti da Austria e Germania. La protagonista è una donna di 45 anni dell'upper class che scopre che le manca qualcosa. Allora parte in gita alla ricerca di un vecchio amore giovanile. La figlia studentessa la aiuta nella ricerca. La donna è anche appassionata d'arte, ma un'arte che si può appendere, molto middle class. È una commedia amara, ci sono situazioni per ridere ma c'è anche dramma.

Il cinema dei Paesi nati dall'ex Jugoslavia è ancora legato alla realtà della guerra e delle sue conseguenze?
Quando filmi nell'ex Jugoslavia non puoi staccarti dalle situazioni legate al post guerra. E' la realtà, sono le riflessioni legate al reale. C'è anche chi viene da fuori a filmare, anche se questi sono più legati ai trend. Da noi penso che in una decina d'anni si riuscirà a cambiare i temi dei film. La Slovenia, forse perché più lontana, comincia ad affrontare anche storie che non c'entrano con le guerre. Da noi si fanno in modo professionale 2-3 film l'anno, anche se il potenziale di storie è molto maggiore. Ora si può girare in digitale ma resta il dover gonfiare in pellicola per la distribuzione nelle sale. Sterk e Cvitkovic hanno appena finito i loro film e ci aspettiamo molto da loro.

Come vede la situazione della Slovenia dal punto di vista produttivo?
Da poco sono presidente dell'associazione dei filmmaker sloveni, un ruolo che si basa tutto sull'entusiasmo. Lo Stato dà soltanto 2 milioni di euro l'anno per tutto il settore cinema, la quota più bassa tra tutte le arti. Ora si sta preparando una nuova legge, affinché una quota degli incassi delle sale sia destinata al cinema nazionale. È compito del Palamento, speriamo che faccia una buona legge per avere più soldi per più film. La questione è che i politici devono decidere se vogliono i film sloveni o no. Noi non possiamo fare film storici, non possiamo permettercelo. L'Italia ha fatto i suoi film sulle foibe, noi non possiamo farlo, non possiamo raccontare la storia dal nostro lato perché non abbiamo soldi.

La Slovenia è però sempre più utilizzata come location di film…
Sì, la Slovenia può diventare ancora di più un posto dove girare. Abbiamo ambienti molto diversi e si possono trovare location ideali. In più da due anni ci sono dei buoni studios a Lubiana.

Nicola Falcinella - Osservatorio sui Balcani

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