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Isabel Coixet • Regista

La mia fiaba crudele

di 

L'ultimo film di Isabel Coixet, La vita segreta delle parole, è una storia struggente, venata di humour delicato, che racconta di un amore atipico tra un operaio di una piattaforma petrolifera vittima di gravi ustioni e una infermiera taciturna che con lui saprà condividere le ferite profondissime delle atrocità vissute durante la guerra dei Balcani. "In fondo questa storia è una favola. C’è una donna che ha un bagaglio di sofferenza insopportabile ma che su quella piattaforma trova il suo principe azzurro", dice la regista catalana. La vita segreta delle parole [+leggi anche:
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intervista: Isabel Coixet
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si è aggiudicato 4 premi Goya (miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura originale, miglior direttore di produzione), massimo riconoscimento del cinema spagnolo. E' ora in uscita in Italia, Svizzera, Germania, Giappone e Stati Uniti e sarà ospite del Festival di Sarajevo quest’estate.

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Cineuropa: Perché ha scelto di affrontare un tema "dimenticato" come la guerra nei Balcani?
Isabel Coixet: Mentre era in corso la guerra, il problema mi ossessionava. Un giorno, sono stata assalita dal desiderio di andare a Sarajevo, per fare qualcosa. Non ne ho avuto il coraggio. Ma da quel momento ho iniziato a raccogliere informazioni. Ne è nato un documentario, due anni fa, per l'International Rehabilitation Council for Torture Victims (IRCT), che mi ha portato a conoscere il dramma femminile di quella realtà. E’ necessario parlarne. Non voglio raccontare il contesto bellico e sociale, ma l’atrocità che improvvisamente si abbatte su due donne.

Come si è formato questo cast che vede Sarah Polley, confrontarsi con un Tim Robbins straordinariamente espressivo?
In modo molto naturale. Mentre scrivevo pensavo a loro. Sarah Polley, che avevo gia diretto ne La mia vita senza me [+leggi anche:
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, è la migliore attrice della sua generazione, può interpretare qualsiasi personaggio. Robbins era una specie di sogno, pensavo che non avrebbe mai accettato. Lo consideravo perfetto, un uomo che ha addosso tante esperienze e conosce il mondo. Una settimana dopo aver ricevuto il copione mi ha chiamato e mi ha detto: "Quando si comincia?".

I silenzi, l’isolamento dei personaggi, hanno una grande importanza nel film.
Per lei sono una forma di difesa. Così come il cinismo lo è per lui. Io volevo creare una intimità particolare, alienata, che abbattesse quei muri. Volevo che il mutismo si trasformasse in un fiume di parole. Ho conosciuto molte donne che hanno vissuto cose ben peggiori di quelle raccontate nel film e la cosa che mi ha sempre sorpreso è che molte sopravvivono a queste esperienze, alcune addirittura mantenendo la gioia.

Le due figure femminili, interpretate da Sarah Polley e Julie Christie, sono molto forti.
Julie interpreta Inge Genefke, una dottoressa danese tra i fondatori dell'IRCT, che si dedica da vent’anni alla riabilitazione dei torturati e alla battaglia politica contro la tortura stessa. Una donna straordinaria, che recentemente ha lavorato su Abu Grahib e Guantanamo. Ho voluto inserirla nel film perché finché vi saranno donne come lei, il mondo avrà la speranza di diventare migliore.

Pedro Almodòvar è il suo produttore per la seconda volta. Che rapporto ha con lui?
Ho sempre ammirato Almodòvar come regista, ma adesso che sono una "persona adulta" abbiamo un confronto diretto e discutiamo spesso; lui non è mai d’accordo con me, però rispetta la mia opinione, il mio punto di vista e quindi i miei film.

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