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Roy Andersson • Regista

"Un film sulla vulnerabilità degli esseri umani"

di 

- Cineuropa ha intervistato Roy Andersson, uno dei maggiori artisti svedesi, in una pausa tra le sue numerose partecipazioni festivaliere, subito dopo l'uscita del suo film in patria a fine settembre

Cineuropa: Come descriverebbe il suo film: un’ode alla vita, all’umanità o una tragicommedia musicale?
Roy Andersson: Potrei dire tragicommedia. Come Stanlio e Ollio, ad esempio, che sono molto comici ma tristi allo stesso tempo. Perché la vità è una tragicommedia. Si tratta, soprattutto, di un film sulla vulnerabilità degli esseri umani. Non dovremmo umiliarci a vicenda, ma volte la gente è costretta a umiliare se stessa. Sono sempre molto triste quando vedo questa tendenza recente. La televisione mostra spettacoli come La fattoria: è molto popolare umiliare le persone, ma è brutto da vedere.

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, vengono rappresentate persone di tutte le età, anche bambini, cosa abbastanza rara nelle sue opere. Lo ha fatto perché mettere un adulto in una situazione imbarazzante o umiliante ha un effetto più violento se visto attraverso gli occhi di un bambino?

Sì, è vero. Non l’ho fatto in Songs from the Second Floor. Avevo già pensato però di inserire giovani e bambini nel film, per avere l’intero spettro della vita, non solo in termini di età e di genere ma anche di gruppo etnico e sociale.

La musica gioca un ruolo chiave nei suoi film. A chi si ispira?
Mi piace lo stile jazz di New Orleans, che suonavo col trombone, da ragazzo. Pensavo di doverlo usare in uno dei miei film, e questa è stata la volta buona. All’inizio del film, c’è la musica composta da Benny Andersson (degli ABBA), che ha le stesse radici di quella di Songs from the Second Floor. Ho scelto inoltre la musica accademica tedesca e una canzone romantica popolare degli anni ’30, adattata per chitarra elettrica solista e per una marcia.

Aveva a disposizione 50 scene con i suoi temi ricorrenti. Quanto è stato difficile scegliere quelle essenziali e metterle insieme con un ordine sensato?
È stato molto difficile, e solo l’ultima sequenza è stata messa lì volontariamente, perché volevo che la gente guardasse oltre. Per quanto riguarda la altre, non c’era un ordine. Volevo darglielo, ma poi ho deciso solo al tavolo di montaggio.

Lei utilizza uno specifico schema monocromatico, virato soprattutto sui grigi. Perché non ha girato in bianco e nero, come i film neorealisti italiani che ammira tanto?
È vero, ma usare il bianco e nero è troppo facile. Si tende a pensare subito di fare arte, e così non mi piace. Ho iniziato a usare i colori negli anni ’80, perché dopo 15 anni mi ero stancato di fare film. Non mi sentivo ispirato dallo stile realistico che usavo. Fortunatamente, ho trovato una via d’uscita. Ho iniziato a usare l’astrazione, che è ispirata anche dalla pittura, soprattutto quella del periodo tra le due guerre negli anni ’30, in Germania. Il mio pittore preferito è l’espressionista tedesco Otto Dix. Usando l’astrazione, mi sono sentito subito libero. Con questo film ho fatto la stessa esperienza, perché non avrei mai pensato prima di poter creare sogni. Mi ha dato la sensazione meravigliosa di libertà, ancora una volta. Nei sogni, tutto è concesso, tutto è possibile.

Pensa al pubblico quando gira un film?
È una questione delicata, perché si vorrebbe sempre un pubblico ampio. Allo stesso tempo, però, non si possono fare congetture su quale sia il gusto comune col quale si possa raggiungere il pubblico più grande possibile. Non mi piace molto. Spero che, facendo film come dico io, possano piacere anche ad altre persone.

Va al cinema?
Io faccio film e non guardo quelli degli altri, perché non li voglio avere in testa. Quando ero giovane, essere ispirato dagli altri non era un problema, ma oggi è diverso. Preferisco l’ispirazione dalla pittura, dalla poesia e dalla musica. Leggo di altri filmmaker, guardo trailer. Ho visto di recente un film svedese che mi è piaciuto, si tratta di Darling [+leggi anche:
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di Johan Kling.

Abbiamo aspettato 25 anni per Songs for the Second Floor, e altri sette per You, the Living. Quanto dovremo aspettare prima di vedere il suo prossimo progetto?
Molto meno. Ho ancora molti festival a cui partecipare, e molte interviste da rilasciare. Ho bisogno di almeno un mese di riposo.

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