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Pierre Schoeller • Regista

"Una società che si sfalda"

di 

- Sceneggiatore per Erick Zonca, Jean-Pierre Limosin, Alain Gomis, Eric Guirado e Brice Cauvin, Pierre Schoeller ripercorre la genesi e la lavorazione di Versailles

Sceneggiatore di La vita sognata degli angeli di Erick Zonca, Carmen [+leggi anche:
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di Jean-Pierre Limosin, De Particulier à Particulier [+leggi anche:
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di Brice Cauvin, L’Afrance di Alain Gomis e Quand tu descendras du ciel di Eric Guirado, Pierre Schoeller ha diretto nel 2002 il telefilm Zéro Défaut. Versailles [+leggi anche:
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intervista: Geraldine Michelot
intervista: Pierre Schoeller
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è il suo primo lungometraggio di finzione cinematografica da regista.

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Cineuropa: Che cosa l'ha spinta verso il tema della povertà?
Pierre Schoeller: L'idea di partenza era di parlare dei legami e del tessuto sociale, di persone percepite come carenti di qualcosa (senza domicilio, senza alloggio, senza lavoro). Ma bisognava dare un'immagine giusta di questa madre che vive in strada con suo figlio o di quest'uomo che abita nel bosco. La povertà è un termine che in verità designa situazioni molto differenti. Ho fatto una ricerca tra foto, sculture e i comportamenti attraversano i secoli. Una persona che dorme su una panchina o la forma degli stracci non hanno età. Questa dimensione mi ha portato per certi versi verso il muto, verso un tipo di cinema dove l'immagine parla da sola. Il bosco, una capanna senza elettricità, un uomo e un bambino che ci vivono: è al contempo atemporale e tremendamente attuale, un'emergenza. E con il buio della notte, diventa quasi arcaico: una scena, il fuoco, qualche albero e dei personaggi che parlano. Si arriva così a un immaginario che scaturisce naturalmente dal lato elementare delle cose e da quello che si dice.

Ha fatto indagini di tipo documentario per costruire la sceneggiatura?
Metto insieme elementi reali, ma disparati. E' un andirivieni con la scrittura: incorporo elementi vissuti nella storia, poi la storia mi porta a un altro personaggio e vado a verificare se funziona. L'idea di Versailles nasce da quando ho scoperto che un uomo era morto nel bosco durante la grande tempesta del 2000, vicino al castello. Un emblema in contrasto con la grande povertà degli emarginati. Il titolo ha una risonanza storica e politica. E mostrare questa gente povera in mezzo a tanto lusso ha fatto colpo a Cannes, che è un po' la Versailles del cinema.

Perché scegliere un bambino come fulcro del racconto?
Il bambino è al centro di una sfida, in una società che si sfalda e di cui si cerca di rattoppare i pezzi. Come affronta questa situazione, che cosa gli resta? Il bambino è in continuo divenire: quale società troverà da grande? E' molto fragile, ha sempre bisogno di cure. E' il suo mondo e questo genera uno sguardo particolare su ciò che vede. E' anche una storia di famiglia, con un elemento generazionale: il bambino serve da rivelatore e fa muovere Damien, così come le persone mature faranno evolvere Nina. E' sempre una generazione precedente o una successiva a toccare il personaggio e a portarlo a conquistare delle cose che da solo non avrebbe ottenuto.

Il casting è stato facile?
Tra Guillaume Depardieu (con la sua ampia gamma di sentimenti e di espressioni) e il personaggio c'è stato un incontro molto forte. Il ruolo interpretato da Judith Chemla era più difficile da trovare: doveva essere giovane, affinché potesse immedesimarsi rapidamente nella situazione di dormire fuori con un bambino, senza che sembrasse finto. Quanto al bambino, ci voleva un buon equilibrio tra il fatto che fosse molto piccolo e che fosse abbastanza robusto per affrontare le riprese. Ci sono tre personaggi, con tre punti di vista differenti, con tre fili narrativi. Non volevo metterli insieme e ho agito d'istinto su ogni scena cercando di essere il più diretto possibile.

Come avete lavorato su un'immagine così centrata sul chiaroscuro?
Volevo un'immagine molto dinamica, che fosse al limite, e che il personaggio si proteggesse nell'ombra. Bisognava anche dare allo spettatore l'impressione che vivesse all'aperto. Il film è abitato da questa intimità della strada, dei boschi, con sensazioni piuttosto fisiche (le materie, lo spazio, le correnti d'aria). Il lavoro di luce con Julien Hirsch vi si è integrato. Abbiamo costruito l'universo del film partendo dal tipo di naturalismo dei luoghi. La tensione dell'immagine viene dal lavoro sull'HD: abbiamo lavorato sotto luci molto basse e ci abbiamo lavorato successivamente nel passaggio dal video alla pellicola. Ma abbiamo ottenuto un'immagine giusta per il film dopo diverso tempo. Ha cominciato ad apparire soltanto al primo montaggio. Prima, era un magma con molte scene, ellissi, età e stagioni differenti… Eravamo sempre a rischio.

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