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Zvonimir Juric, Goran Devic • Registi

“Volevamo fare un film che ossessionasse lo spettatore”

di 

- Goran Dević, uno dei registi più conosciuti in Croazia, e il celebre Zvonimir Jurić ci regalano un film senza precedenti sui crimini dell'esercito del loro Paese

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? Quando ha deciso di legare il film al cosiddetto caso “del garage”?

Zvonimir Jurić: L'idea di evocare i crimini croati non è venuta in modo cosciente: quando scrivo, sono completamente assorbito dalla drammaturgia e devo solo sperare che il mio spirito antinazionalista faccia la sua comparsa. Non valuto i soggetti sulla base della potenziale difficoltà; semplicemente non riesco a lavorare su qualcosa che mi è completamente indifferente. Non penso che raggruppare la gente in base al concetto di nazionalità sia una cosa buona e spero che in futuro le nazioni, in quanto tali, spariscano.

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Non sono stato toccato personalmente dai fatti (gli omicidi commessi in questo garage) e non ho cercato di essere fedele a questa storia. Volevo affrontarla in maniera complessa. Nel film, non spieghiamo come e perché queste cose sono potute accadere. Volevamo fare un film che ossessionasse lo spettatore, e questo è possibile se non vengono date troppe spiegazioni. Abbiamo optato per il principio di Alien [di Ridley Scott]: meno lo vedi, più il mostro è forte e fa paura.

Goran Dević: Francamente, non ricordo il modo in cui la storia del garage è entrata nella sceneggiatura. Se si prendono gli altri miei film, si può supporre che la storia sia venuta da me, ma oggi non posso né negarlo, né confermarlo.

Come avete lavorato insieme? Che cosa vi siete dati a vicenda?
Zvonimir Jurić: Problemi, sofferenze, soddisfazione, felicità, sostegno, dubbi, sorprese.

Goran Dević: Zvonimir ha rappresentato per me una sorta di salvagente con il quale mi potevo tuffare senza rischiare, cosa che non succede quando fai un film da solo.

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per vedere film che evocano i crimini del proprio popolo. C'è una sorta di autocensura tra i registi croati? È vero che non criticano mai lo Stato o la Chiesa?

Zvonimir Jurić: Nessun film del genere era stato ancora realizzato perché la percezione dominante tra i croati è di essere stati vittime della guerra. La Chiesa e il santissimo nuovo Stato sono le istituzioni incontestabili di questa “croatitudine” e questo si riflette senza dubbio nel cinema. O magari è il cinema che contribuisce a formare questa opinione.

Goran Dević: Si tende a dimenticare il documentario. È da tanto che si fanno documentari sulla questione. Penso che la finzione, sia, in qualche modo, più lasciva perché ha bisogno di denaro. Automaticamente, l'autocensura è più forte.

La macchina tenuta a distanza in The Blacks va perfettamente d'accordo con il contesto soffocante. Che cosa vi ha portato a scegliere questo approccio?
Zvonimir Jurić: Volevamo fare un film pesante, un film che ti pianti un colpo di martello in testa, come Alien. Il miglior modo per far ciò è avere pochi attori, chiuderli in uno spazio e non tagliare troppe cose, ma piuttosto mantenere i silenzi e il vuoto che in genere si eliminano nel montaggio. Questi diventano così un elemento importante dell'atmosfera. Penso fosse fondamentale giocare con lo spazio esterno alla cinepresa, rifiutarsi di mostrare tutto allo spettatore ma portarlo verso la scena, affinché si confrontasse con i personaggi.

Goran Dević: Penso che fosse fondamentale non modificare lo spazio nel quale avremmo girato. È semplicemente più facile costruire un'atmosfera in un luogo reale piuttosto che trasformarlo forzatamente in ciò che non è. In questi casi, mi affido al mio intuito. In questo spazio, mi sentivo come quando ero nell'esercito: quindi era perfetto. Per quanto riguarda le inquadrature, abbiamo pensato che la distanza della macchina funzionasse bene nel film. Questo si è rivelato ideologicamente corretto, perché in tal modo si mente di meno. Ma se non ci sai fare, può risultare controproducente perché dai allo spettatore l'impressione che ci sia qualcun altro, qualcuno che manipola tutto: in breve, un cattivo regista.

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