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Margarethe von Trotta • Regista

Hildegarda, antesignana di tutte le donne del mio cinema

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La regista tedesca racconta la storia della monaca, mistica, compositrice e femminista tedesca ante-litteram dell’XI secolo nel suo recente Vision: From the Life of Hildegard of Bingen [+leggi anche:
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. Il film è uscito nelle sale tedesche a fine settembre ed è stato proposto in anteprima internazionale al Festival del Film di Roma, dove Cineuropa ne ha parlato con la regista.

Cineuropa: Vision sembra a volte uno dei suoi film degli anni ’80…
Margarethe von Trotta: In un certo senso è vero, perché il mio primo “incontro” con Hildegarda è avvenuto negli anni ‘80, proprio quando le donne, da poco liberate, cercavano un modello femminile nella storia, scritta per lo più da e per uomini. Ero a Los Angeles e vidi in un megastore, su un grande schermo, dei cd della sua musica, e naturalmente ne comprai uno! La prima scena del film, ambientata al passaggio al nuovo millennio, era già stata scritta negli anni ’80, ma a quell’epoca i film erano politicizzati e parlavano del presente, e quindi il progetto fu accantonato.

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Perché è tornata sul progetto?
Beh è stato soprattutto il mio produttore. Io volevo fare un film su Hannah Arendt, ma secondo lui non era il momento giusto. Si è ricordato allora che in passato gli avevo parlato di questo progetto su Hildegarda di Bingen, e mi ha chiesto cosa ne fosse stato. E allora gli ho detto: “Se mi dai i soldi, sarò felice di farne il mio prossimo film”.

In che modo l’averlo realizzato oggi, piuttosto che negli anni ’80, può aver influenzato il film?
Sono molti gli aspetti. Prima di tutto, il legame tra anima e corpo sul quale Hildegarda si concentra, soprattutto nella scena in cui dice “Prima guarisce l’anima, poi segue il corpo”. Non sarei mai riuscita ad includere questo concetto negli anni ‘80. In secondo luogo, l’idea che natura ed elementi ci si rivoltino in qualche modo contro se non li usiamo nel modo giusto, questa specie di messaggio ecologista, è qualcosa di cui non eravamo a conoscenza venticinque anni fa.

E poi ci sono la superficialità e l’avidità del personaggio del Barbarossa, che Hildegarda incontra e consiglia. Il modo nel quale il film enfatizza e ammonisce sul vuoto nella vita di quest’uomo è molto contemporaneo. Quanti uomini — anche donne ma soprattutto uomini — si sono suicidati di recente dopo aver perso le loro ricchezze, e i loro beni materiali?

Vision vede anche un ritorno alla collaborazione con l’attrice Barbara Sukowa…
Sì, il film è la nostra quinta collaborazione, ed è molto naturale. Mi sembra abbastanza verosimile che, se Hildegarda di Bingen fosse vissuta oggi, sarebbe stata Rosa Luxemburg o Marie Curie. Era un’eccellente osservatrice di tutto quello che era attorno a lei. In qualche modo, è stata l’antesignana di tutte le altre “donne-von Trotta”.

Il titolo suggerisce molti artifici visivi, ma in realtà le visioni di Hildegarda non giocano un ruolo così ampio nel film.
Il titolo non è il mio, ma del produttore. Ho detto sì perché in passato avevamo avuto problemi con i titoli quando i film andavano all’estero. Per alcuni ci siamo trovati addirittura ad aver titoli in inglese diversi per diversi paesi, e questo portava solo confusione. Per quanto riguarda invece le visioni, all’inizio, col direttore della fotografia, avevamo valutato se trasporle in immagini, ma alla fine abbiamo deciso di non farlo, ad eccezione della sua prima visione. Avevamo paura che visualizzarle o mostrarle in maniera antropomorfica avrebbe reso il film troppo kitsch”.

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