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Luciano Barisone • Direttore Festival dei Popoli

"Allargarsi al mercato senza perdere l'essenza del documentario"

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Cineuropa: La 50ma edizione del Festival dei Popoli è un’importante tappa di riflessione a cui si affianca la sua nuova direzione: quali sono gli elementi di continuità e quali gli elementi evolutivi?
Luciano Barisone: Il Festival dei Popoli nacque a fine anni ’50 con l’idea antropologica di esplorare il mondo, di creare un ponte tra la società occidentale del boom economico e quella parte sconosciuta che da ciò era esclusa. La finestra sul mondo è rimasta intatta, da 50 anni è un tratto di continuità del festival. Nel corso del tempo ha sposato entrambe le funzioni del documentario: conoscere per affratellare, conoscere per intervenire sulla realtà attraverso la creazione di una coscienza critica. Personalmente prediligo il cinema documentario che crea ponti, ma prendo atto e do spazio ad un altro modo di farlo, militante. In sintesi, abbraccio la ricchezza e il lignaggio nobile del Festival, ma ho trovato la sua struttura inadeguata alla contemporaneità: la novità della mia direzione sta nel voler aprire il festival alla produzione, attraverso un atelier creativo, e al mercato. Con una politica di piccoli passi. I primi segni concreti stanno nell’ospitalità del premio Solinas Documentario per il Cinema, che porta alla luce progetti interessanti da produrre, e in due premi del festival specificamente indirizzati a favorire la distribuzione dei documentari in sala. Come organizzare e inserirsi nel mercato va scrupolosamente vagliato. Vogliamo allargarci al mercato ma senza che il business prenda il sopravvento sull’anima del festival.

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Nella presentazione del festival lei ha trasmesso l’idea di una fucina di progetti in divenire, anche di una ricerca di interrelazioni e sinergie varie, sia territoriali, su vasta scala, che tra festival.
Ci sono vari progetti allo stato embrionale, che necessitano di risorse finanziarie per svilupparsi. Le risorse umane ci sono. A questa progettualità stanno mostrando grande interesse le amministrazioni: Firenze e la Toscana mirano a diventare un importante polo produttivo e promozionale del documentario. L’apertura al livello internazionale è forte, e ci tengo a sottolineare che i documentari italiani competono a pari merito, la loro qualità è notevolmente cresciuta in questi anni. C’è molto cinema documentario di valore che può circuitare ampiamente e merita sostegno e visibilità, in quanto prodotto di nicchia. Perciò combatto la pretesa di prima mondiale anche per i documentari in molti festival – fatto salvi i più grandi. Noi ci relazioniamo e collaboriamo con vari festival internazionali, come Nyon, Marsiglia, Parigi, Salonicco. Ci piacerebbe sviluppare dei progetti condivisi nell’area mediterranea. C’è poi un’attività permanente del festival dei Popoli verso l’internazionalizzazione, tesa a creare un label riconoscibile nel mondo. Siamo stati a New York, andremo a Mosca e ad Atene. Facciamo ipotesi su Barcelona, Buenos Aires, Pechino.

Quali sono state le novità e i risultati di questa 50ma edizione?
Innanzitutto il pubblico si è duplicato. Ha premiato il nostro intento di apertura con un programma che ha affiancato il rigore del documentario d’autore a proposte ed eventi più popolari. Al contempo si è mantenuto il grande pregio di questo festival: un’atmosfera familiare e di scambio, dove tutti gli ospiti sono accolti, si incontrano, discutono. Così si favorisce una riflessione sul cinema che può portare a risultati inattesi, a nuovi progetti.

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