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Jessica Hausner • Regista

Una Lourdes scioccante, tra sacralità e irriverenza

di 

- Incontro con una cineasta che rivendica un messa in scena che riflettesse l'ambiguità della fede nei miracoli

Per alcuni è il film più "blasfemo" (buñueliano, addirittura) del cinema recente, il più raffinato nel demistificare la sacralità di una "Disneyland dei miracoli" presa d’assalto ogni anno da milioni di pellegrini; altri hanno letto in Lourdes [+leggi anche:
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intervista: Jessica Hausner
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, al contrario, un senso di religiosità profondo seppur polemico, accostandolo ai classici del cinema spirituale, da Dreyer a Bresson. Una trasversalità di giudizio che è la prova più evidente del "fascino discreto" – per citare proprio Buñuel – dell’ambiguità di quest’opera terza di Jessica Hausner, vero caso all’ultima Mostra di Venezia, dove non pochi l’avrebbero voluto Leone d’oro.

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Cineuropa: Da dove nasce l’idea di questo film?
Jessica Hausner: Conosco piuttosto bene la religione, sono stata educata in una famiglia cattolica prima di allontanarmi dalla fede, e il miracolo è uno degli aspetti più interessanti del cristianesimo: un paradosso, un’interruzione, persino una frattura nella logica che conduce alla morte. Ho cercato a lungo di capire quale sarebbe stato il luogo migliore dove ambientare un film sul miracolo: dopo molte ricerche ho deciso che dovevo girarlo a Lourdes.

Cosa l’affascina, in particolare, del tema del miracolo?
La difficoltà, se non addirittura l’impossibilità, di distinguere quando il miracolo è vero, cioè duraturo, rispetto a quando invece le guarigioni sono un caso, un momento di miglioramento temporaneo prima di una ricaduta. È un dubbio che condividono anche molti sacerdoti che ho consultato.

Com’è stato il primo impatto con la realtà di Lourdes?
Terribile: a Lourdes si incontra una moltitudine di malati, spesso gravi, guidati da una impressionante volontà di vivere, e da un’incrollabile speranza di vivere il miracolo. È un luogo scioccante.

È stato facile avere accesso ai luoghi del santuario?
All’inizio no, le autorità ecclesiastiche erano rimaste scottate dall’ultimo film girato a Lourdes, che metteva alla berlina il sentimento religioso. Ma dopo molti incontri, anche con l’Arcivescovo, si sono convinte a concederci di girare nel santuario, precludendo soltanto l’accesso alle piscine vere e proprie, dove ogni giorno si immergono centinaia di pellegrini.

Il film conta su un’interpretazione straordinaria di Sylvie Testud: com’è andata la ricerca dell’attrice, e il lavoro con la protagonista?
La ricerca non è stata facile, molte hanno rifiutato il film temendo che il ruolo poco "sexy" avrebbe nuociuto alle loro carriere. Poi, quando ho scelto Sylvie, c’è stato un lungo periodo di preparazione, durante il quale abbiamo visitato diversi ospedali, incontrato malati di sclerosi, cercando di comprendere gli aspetti più quotidiani della loro vita, dal mangiare al vestirsi, e penetrando gli aspetti psicologici della malattia, le loro preoccupazioni, anche familiari e sociali. Per la parte più propriamente fisica, invece, ci siamo rivolte ad una fisioterapista, che ci ha aiutato a capire cosa significa vivere su una sedia a rotelle: non vuol dire soltanto essere costretti su una sedia a rotelle, ma avere una postura che a volte compromette anche la possibilità di parlare e respirare.

Da un punto di vista stilistico, si è ispirata a qualche regista del passato?
Altrove, soprattutto nel mio film precedente, Hotel [+leggi anche:
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, sono stata più cinefila. Stavolta ho pensato soprattutto al cinema di Jacques Tati, per un certo tipo di umorismo, e a quello di Dreyer, in particolare Ordet: non volevo che Lourdes fosse pervaso di un’atmosfera sacrale, che aleggiasse la presenza di un essere superiore. Ho preferito una messa in scena che riflettesse l’ambiguità di fondo di tutta l’opera.

Nel film si ascolta una battuta forte: "Dio o è buono o è onnipotente". Esprime il suo punto di vista?
Girare Lourdes, se possibile, mi ha allontanato ancora di più dalla religione: se un Dio esiste, allora è ingiusto.

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