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Abbas Kiarostami • Regista

La poetica della quotidianità

di 

- Il regista iraniano al quale è stata dedicata un'ampia retrospettiva al Batìk Film Festival di Perugia parla del suo ultimo film Ten e del suo cinema libero

Dopo la première a Cannes e l'uscita a settembre in Francia, Belgio e Regno Unito, è in questi giorni nelle sale italiane l'ultimo film di Abbas Kiarostami, Ten. Il regista iraniano, al quale sarà dedicata da giovedì 21 novembre un'ampia retrospettiva al Batìk Film Festival di Perugia, è da considerarsi uno dei grandi maestri viventi del cinema, un autore capace di raccontare la vita quotidiana rendendola universale, a dispetto di chi giudica il contenuto delle sue opere un mero esercizio di stile per amanti dell'esotismo.
Ten si basa su una struttura narrativa esile che però mira a esibire fatti validi per ogni individuo di questo mondo. La location è un'automobile, i protagonisti sono cinque donne più un bambino. In dieci sequenze si alternano personaggi che dialogano tra loro mettendo in scena la vita quotidiana. Non c'è un filo narrativo unitario vero e proprio. E' lo spettatore che di fronte a questa esibizione della realtà cerca di ricostruire e collegare le vicende. Piccoli frammenti nei quali le donne parlano di matrimoni, divorzi, tradimenti, religione, sesso e quant'altro. Ten in Iran non è stato proiettato perché la censura aveva imposto al regista un taglio di trenta minuti. Oltre a parlare della sua ultima fatica, il regista ha espresso le sue idee sul cinema europeo e i suoi problemi economici, che a suo parere hanno bloccato lo sviluppo del cinema come arte.

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I suoi film sono anche sostenuti da produzioni europee. Qual è dunque il suo rapporto con l'Europa da un punto di vista economico?
“Molti dei miei film sono stati finanziati anche dall'Europa. Tuttavia, questo è un dettaglio che personalmente reputo secondario, nel senso che quando realizzo un film mi occupo solo degli aspetti artistici. Alla conclusione del lavoro delego ad altri il compito di trovare finanziamenti in Europa. Il mio è un lavoro in totale autonomia. Sono un regista indipendente che va avanti per la propria strada. Non mi preoccupo nemmeno di quanti spettatori vedranno il film. Sono consapevole del fatto che le mie opere siano distanti anni luce da quelle europee ed americane in termini di spettacolarità e azione. E dunque metto in conto che il pubblico possa trovare meno accattivante un lungometraggio come Ten. Bisogna considerare, però, che dieci secondi di Guerre Stellari costano quanto un mio intero film. Quindi, non vado incontro a operazioni economiche in perdita e sono libero di sperimentare, di cercare soluzioni cinematografiche alternative. In più, con Ten ho usato il digitale e questo mi ha consentito di contenere le spese e di ridurre la troupe. Infine, gli attori sono tutti non professionisti. Insomma, il discorso inerente ai soldi e alla produzione non incide sulla genesi e la realizzazione dei miei film”.

Che cosa è invece importante, fondamentale per i suoi lavori?
“Quello che per me conta è piuttosto il coraggio di sperimentare e di osare senza farsi intimidire dalla prospettiva che in sala vadano tre soli spettatori. Purtroppo, da un punto di vista artistico il cinema, rispetto a discipline come la pittura o la musica, si è fermato. C'è troppa dipendenza dal capitale. E l'Europa, come gli Stati Uniti, ha accettato di trasformare il cinema in mero momento d'intrattenimento”.

Ultimamente ha avuto un problema con le autorità americane che non le hanno concesso il visto per andare a New York proprio in occasione della presentazione di Ten. Mettendo da parte la questione di natura politica, questa ostilità nei suoi confronti totalmente ingiustificata la induce a distinguere gli Stati Uniti dall'Europa, dove invece ha sempre ricevuti ampi consensi?

“Politicamente voglio solo dire che il mio caso non è così importante, se teniamo conto del contesto generale. Anche se Bush fosse stato un grande cinefilo appassionato dei miei film, e dunque avesse saputo che io non posso essere paragonato ai fondamentalisti, non avrei ottenuto in alcun modo il visto. Siamo in tempo di guerra e non si fanno eccezioni. Per quanto concerne il cinema, la distinzione che opero è tra registi indipendenti e non. Purtroppo il punto di vista americano è dominante e anche gli europei ne sono succubi. Sono pochi gli autori che agiscono in totale libertà e non è una questione di nazionalità. Moretti e Anghelopoulos sono tra i pochi a fare cinema realmente indipendente, ma ve ne sono altri, per esempio in Cina e negli stessi Stati Uniti”.

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