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Ken Loach • Regista

'Più rispetto per il cinema impegnato'

di 

- In un liceo romano per un dibattito, il regista inglese si pronuncia contro la guerra in Iraq ed esorta a girare più film di impegno civile

La professoressa è raggiante più dei suoi capelli rossi: tanti studenti sono accorsi in un liceo romano per vedere Sweet Sixteen [+leggi anche:
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e poi per parlare direttamente con Ken Loach. Al suo ingresso, il regista inglese ha ricevuto un'ovazione dal giovane pubblico, poi si è passati al fatidico dibattito. Più politico che cinematografico.

La prima domanda è andata direttamente al cuore del film: "Normalmente i sedici anni sono visti come un momento felice della propria vita. Perché, dunque, il suo film prende una piega decisamente drammatica?"
"E' vero è un momento importante della vita, a 16 anni si diventa adulti. Il mio film tratta proprio questo cambiamento. Liam, il protagonista, ha delle illusioni, ma nel corso della storia assistiamo a una presa di coscienza. Tuttavia, la storia di Liam va osservata anche da un altro punto di vista. Non è ancora cinico e rassegnato come lo sono il suo patrigno e il nonno. Ha delle prospettive. Purtroppo, nel caso di Liam e in quello di tanti altri ragazzi le vie d'uscita sono limitate e portano a vicoli ciechi. La domanda fondamentale è allora questa: che razza di adulti siamo noi? Negli ultimi decenni abbiamo creato un sistema che ha prodotto enormi disagi e disparità. Nel film stesso, possiamo osservare tre generazioni di disoccupati. Il nostro compito è quello di cambiare lo stato delle cose. A questo proposito, penso che manifestare per la pace sia stato importante. Sabato abbiamo assistito a qualcosa di imponente e i nostri leader devono tenerne conto. Detto ciò, non dobbiamo fare l'errore di accontentarci. La grande massa di persone che ha detto no alla guerra ha l'opportunità di ribaltare le politiche economiche imposte dai governi. Rinunciare a volere un mondo diverso sarebbe grave per noi e per le future generazioni".

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Una ragazza si alza, prende il microfono e chiede: "Il disagio giovanile è un tema difficile e complesso. E' possibile parlarne senza rischiare di fare un discorso retorico? E come si concilia il cinema con l'impegno civile?"
"Ciò che comunica un film deve essere implicito nella storia. I personaggi non devono spiegare quello che fanno. Una pellicola non ha bisogno di didascalie. In Sweet Sixteen, si comprende in modo immediato che il mondo nel quale vive la famiglia di Liam è contraddistinto da una cronica mancanza di lavoro. Come è evidente il problema della droga. Per quanto concerne l'impegno civile, il cinema deve stupire, divertire e stimolare la riflessione. Io non sono contrario alle grandi produzioni commerciali. Vorrei che anche i film più impegnati ricevessero un trattamento equo. Il cinema europeo è originale e capace di esprimersi secondo diverse modalità. Il problema è che subisce la potenza dell'industria cinematografica americana. Sarebbe doveroso ascoltare tutte le voci. Il problema è che non sempre riusciamo a sentirle perché la loro voce viene oscurata".

Altre domande sono state poste e Loach ha replicato sempre con passione. Una questione, però, vorremmo porla noi: visto l'interesse suscitato e gli apprezzamenti ricevuti dagli studenti liceali romani, perché in Inghilterra Sweet Sixteen è stato vietato ai minori di 18 anni?

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