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Manuel von Stürler • Regista

"Mi sono sforzato di non fare un film nostalgico"

di 

- Con Winter Nomads, Manuel von Stürler firma il suo primo documentario su un’avventura umana fuori dal comune: la transumanza invernale delle pecore nelle campagne svizzere.

Una première a Berlino, un Premio del miglior documentario europeo e sale elvetiche sempre piene. Incontro con un regista soddisfatto.

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Manuel von Stürler: E’ legata a un incontro. Stavo lavorando a un progetto di film sull’Antartico e ho visto la transumanza passare letteralmente sotto le mie finestre. Come si vede nel film succedere ad altri. Non immaginavo potessero ancora esistere, in Svizzera, ai giorni nostri, dei nomadi stagionali. Così sono andato a trovarli, ho visto che erano personaggi dal forte carisma, ed ecco… Mi sono convinto subito che bisognava farne un film.

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E’ stato difficile convincere i protagonisti?
Sì e no. Sono relativamente abituati a essere fotografati e qualche videasta dilettante aveva già fatto film su di loro. Vedendomi, si sono detti: "Eccone un altro". All’inizio, non avevano capito che il progetto sarebbe stato tanto impegnativo. Poi è cominciato il lungo lavoro di preparazione, durato poco più di due anni. All’inizio ho trascorso lì tutto l’inverno, senza cinepresa, semplicemente per prendere appunti e capire dove potesse essere il film. Quello che ha semplificato le cose è che la transumanza, in fondo, si riproduce tale e quale ogni anno. Abbiamo potuto lavorare nel dettaglio alcuni episodi.

Come hanno reagito quando hanno visto il film? Lo hanno visto insieme?
Carole ha visto il film un po’ prima della première a Berlino. E’ andato tutto bene. Era molto emozionata, è stato un bel momento. Con Pascal è stato un po’ più complicato. Ha voluto vedere il film per la prima volta alla Berlinale. Ero spaventato a morte: non solo mostravo Winter Nomads per la prima volta al pubblico, ma in più, il mio protagonista era là, in sala, e si vedeva anche lui per la prima volta sullo schermo. E dato che il film lo mostra come è, piuttosto grezzo e tutto d’un pezzo, non sapevo come avrebbe reagito. Ma ha capito benissimo il mio approccio.

Winter Nomads tratta di un mondo, se non scomparso, almeno in estinzione. Le è sembrato di fare un film nostalgico?
Mi sono sforzato di non fare un film nostalgico. Da quello che sento e leggo, pare non sia percepito così dagli spettatori. Il film mostra una pagina che viene voltata. Ma non dice che era meglio prima, che bisognerebbe tornare indietro. E’ semplicemente la testimonianza di un modo di vivere in via d’estinzione. E non solo in Svizzera. Un regista africano mi raccontava di recente che il nomadismo non esiste quasi più nell’Africa subsahariana.

Tuttavia, questa testimonianza suscita molti interrogativi sul nostro stile di vita sedentario e sul nostro rapporto con la natura…
Sì, perché è delle nostre radici profonde che si parla. Molti di quelli che hanno visto il film mi hanno detto di aver voglia di riconnettersi con la terra, con gli elementi che ci circondano e che sono naturali per noi, ma che tendiamo a perdere di vista nella nostra vita contemporanea. Non si tratta però di ridiventare nomadi, ma di rivedere il territorio in cui viviamo con un altro occhio. Così è stato per me sul set. Quando ti confronti con il freddo, la neve, le difficoltà ad andare avanti e devi lavorare con gli elementi, c’è qualcosa di sorprendente nel vedere una macchina che passa per strada, con alla guida un tipo in t-shirt, mentre fuori nevica.

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