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Duane Hopkins • Regista

"Mi manca una lettura emozionale di ciò che accade nella classe operaia britannica"

di 

- Il regista britannico Duane Hopkins porta Bypass al Festival di Londra dopo averlo presentato a Venezia. Cineuropa lo ha intervistato

Duane Hopkins  • Regista

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mostra un dramma sociale da un punto di vista inedito. Racconta la storia di Tim, un giovane uomo della classe operaia britannica che lotta per prendersi cura della sorella minore in assenza dei suoi genitori, cercando di evitare la criminalità come soluzione. Il Festival del Cinema di Londra ospita in questi giorni il film nella sezione Dare. Hopkins è anche fondatore con il produttore Samm Haillay della casa di produzione Third Films, responsabile di vari cortometraggi vincitori di premi ai festival di Venezia e Berlino.

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, mostrava un gruppo di adolescenti che vivevano in un ambiente dominato dalla droga. Perché ha deciso di insistere sulle problematiche giovanili in Bypass?
Duane Hopkins: La storia di Bypass ha cominciato a interessarmi mentre giravo il primo film. Ho trascorso molto tempo in piccole città del Regno Unito a fare ricerche sul progetto e ho trovato punti in comune in molti di questi giovani. Hanno problemi familiari, vivono in ambienti difficili, sono intelligenti ma non hanno la possibilità di farsi un’istruzione a scuola e devono confrontarsi con la disoccupazione. Ho conosciuto le esperienze particolari di alcuni di loro e ho deciso di raccontarle in uno script. I quotidiani fanno una lettura intellettuale della situazione che si vive in molte parti del paese, ma non si mostra mai la realtà emotiva di queste persone. Ed è quello che volevo fare attraverso i personaggi di Bypass.

Il film pone molte domande ma non dà risposte precise. Nella storia, però, sembra importante mostrare qualche speranza…
Sì, assolutamente. E’ importante considerare che molte di queste persone, in circostanze diverse, sarebbero estremamente ben preparate e pronte a portare qualcosa di positivo alla società. Dobbiamo cercare di non demonizzare chi vive al di fuori della legge, così come non dobbiamo demonizzare lo Stato, perché in molti casi fa il meglio che può.

Il personaggio di Tim, interpretato da George MacKay, è un ragazzo che si ritrova nel posto sbagliato. La sua personalità è opposta alla realtà in cui vive. L’attore che lo doveva interpretare doveva avere caratteristiche molto precise.
E’ stato difficile trovare l’attore adatto. Ho conosciuto George durante il casting, non avevo visto i suoi lavori precedenti. Aveva appena 20 anni e ho visto in lui un’onestà fuori dal comune. Nonostante la sua età, proiettava un’immagine rispettabile, con un grande senso morale. Col passare del tempo, parte del suo modo di essere si è trasferito al personaggio. 

Sembra molto coinvolto nelle storie che mostra sullo schermo. Accade lo stesso quando lavora come produttore?
Diciamo che parte della nostra linea di lavoro in Third Films è quella di generare dibattito intorno ad alcuni temi specifici. Ma anche se c’è impegno, come regista so quanto è importante che il produttore offra libertà creativa. Quando voglio fare un film a modo mio, lo scrivo e lo dirigo.

Bypass è stato presentato al Festival di Venezia e in tutto il mondo attraverso Internet grazie alla sezione Sala Web. Sarebbe d’accordo se la distribuzione cinematografica si trasferisse al mondo digitale?
Non credo che l’esperienza collettiva di vedere un film in una sala buia, con quello che si prova, sia sostituibile. Per fortuna, questa tradizione resta intatta nei festival di cinema, non va a morire. Bisogna ammettere che buona parte del cinema che consumiamo ci porta sullo schermo di un computer o di un tablet. E’ già una realtà. Ma alla fine, la cosa veramente importante è che i film siano visti.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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