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Nicolas Wadimoff • Regista

"Io stesso oscillo tra la spontaneità assoluta e l'organizzazione. È una questione di sensibilità"

di 

- Cineuropa ha parlato con il regista svizzero Nicolas Wadimoff a proposito del suo ultimo film, Spartiates

Nicolas Wadimoff  • Regista

Il regista svizzero Nicolas Wadimoff ci parla del suo ultimo film Spartiates [+leggi anche:
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intervista: Nicolas Wadimoff
scheda film
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che dopo un primo passaggio ai Rencontres Internationales du documentaire de Montréal concorrerà alle Giornate di Soletta 2015. Spartiates ci racconta la storia di un personaggio fuori dal comune che riesce a scovare la luce, la speranza dove ce n’è poca. Un film forte e molto attuale.

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Cineuropa: Com’è nata l’idea del film?
Nicolas Wadimoff:
La genesi del progetto è piuttosto singolare. Nel 2013 Marsiglia è stata nominata capitale europea della cultura. Per questo motivo la RTS ha lanciato l’operazione “Marsiglia capitale europea”. Un giornalista di cinema della radio Couleur 3 si è detto che era curioso che non ci fosse nessuno che volesse parlare dei quartieri Nord che rappresentato circa la metà della città, non solo in termini di superficie ma anche di popolazione. Questo stesso giornalista si è ricordato che avevo dei contatti in quelle zone, soprattutto tramite degli attori con i quali avevo lavorato nei miei film precedenti. Mi ha chiesto se ero pronto ad affrontare la sfida di fare un piccolo film Kino nei quartieri Nord. Ho così chiamato il mio amico MoussaMaaskri (l’attore del mio film precedente) e gli ho chiesto se potevamo fare qualcosa insieme in quei luoghi. È lui che mi ha parlato di Yvan Sorel, un tipo incredibile che fa un gran lavoro con i giovani. Così sono andato a conoscere Yvan e ho raccolto la sfida: ho fatto un piccolo film in due giorni che si chiama Spartiates des quartiers. È un film breve, che mette semplicemente in luce le sfide ma che ha creato un grande interesse. Sentivo che era necessario fare un film su questa tematica attuale così scottante, su questo mondo a parte che si è sviluppato al di fuori della Repubblica, con altri riferimenti.

Anche se Yvan è un personaggio molto carismatico, nel film sono spesso le immagini che prendono piede (sulle parole). Come ha fatto a canalizzare la sua energia affinché si esprimesse in modo naturale?
È una questione molto interessante la cui risposta è allo stesso tempo semplice e complessa. È un insieme di incontri che si fanno all’improvviso e che sfociano in un sentimento di rispetto reciproco, sincerità e autenticità. Yvan ed io non siamo in nessun caso in un rapporto di dominazione come succede spesso quando si fa un film. Abbiamo una visione del mondo molto simile che permette a Yvan di essere completamente se stesso senza che si senta tradito o manipolato da me. È una persona estremamente serena. Eravamo entrambi due direttori d’orchestra. Il nostro rapporto era un continuo scambio di idee, pareri ed emozioni, Yvan ha un sesto senso incredibile! Vede arrivare le cose, sa come muoversi, non è un qualcuno facile da fregare! Non abbiamo mai discusso sul film, ma sa bene come imporre le cose e non permetterne altre. La tabella di marcia si costruisce in due senza sedersi a un tavolo, si costruisce in modo abbastanza organico.    

Riguardo al genere documentaristico e all’interpretazione degli attori: dove si situa la frontiera tra la spontaneità e la finzione? Come gestisce questa dualità?
Un’oscillazione tra i due è la risposta “semplice”, la risposta più complessa sorge invece da questa seconda domanda. Questa spontaneità riesco a metterla in pratica perché c’è un continuo scambio tra me e Yvan, ma anche e soprattutto un’oscillazione tra la ragione, ovvero la costruzione drammaturgica del film, gli appunti che prendo, l’intelletto e l’annullamento delle intenzioni della struttura narrativa.  Questo per mollare la presa, per abbandonarmi completamente alle emozioni. Personalmente è necessario che io possa attivare questi due poli, ovvero uno un po’ più teorico e un altro più emozionale, dove sviluppare il mio desiderio d’incontro e di condivisione.  Ora, per tornare alla vostra domanda riguardo alle frontiere tra recitazione e spontaneità, penso ci sia un momento in cui il fatto di rilassarsi permetta di arrivare a delle sequenze che hanno l’aria di essere sequenze di finzione anche se poggiano su basi reali. È un’alchimia abbastanza strana. Non ci sono delle regole, esploro delle piste. Io stesso oscillo tra la spontaneità assoluta e l’organizzazione. È una questione di sensibilità, di feeling. È un nuovo passo a due, ma questa volta non tra me e Yvan, ma tra lui e la telecamera. 

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(Tradotto dal francese)

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