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Yorgos Zois • Regista

"Una voce autoritaria può manipolarci e controllare le nostre azioni"

di 

- VENEZIA 2015: Il cineasta greco Yorgos Zois spiega come ha giocato con le convenzioni nel suo film ambientato in un teatro, Interruption, selezionato nella sezione Orizzonti

Yorgos Zois  • Regista

Dopo che i suoi cortometraggi Casus Belli e Out of Frame sono stati proiettati nelle precedenti edizioni della Mostra del Cinema di Venezia, il primo lungometraggio di Yorgos Zois, Interruption [+leggi anche:
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intervista: Yorgos Zois
scheda film
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, è stato selezionato nella sezione Orizzonti di quest'anno. Un avvincente dramma teatrale che analizza il tragico abisso della grande Oresteia, il film rappresenta un'occasione per Zois di giocare con lo spazio e le convenzioni. In Interruption, un gruppo di giovani uomini e donne armati di fucile assumono il controllo del palcoscenico in un adattamento post-moderno del mito di Oreste. In una conversazione con Cineuropa, il regista spiega le sfide inerenti al suo approccio.

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Cineuropa: Ad un certo punto, Interruption ha cambiato nome in Stage Fright. Qual è stata l'evoluzione della sceneggiatura dal momento in cui è nata l'idea del film?
Yorgos Zois: Per me, esistevano due copioni: quello precedente al primo giorno di prove e l'altro precedente al primo giorno di riprese. In entrambi le scene erano costruite sugli stessi punti fondamentali, ma tutto il resto era diverso, dai dialoghi alle azioni. Ciò è dovuto alla mia volontà in questo film di seguire una strada specifica per quanto riguarda la recitazione; durante le prove, nessun attore conosceva il copione, solo l'eroe principale. Abbiamo creato un ambiente speciale in un teatro locale ed ogni attore doveva reagire alle azioni imprevedibili del protagonista e provare le stesse emozioni che avrebbe provato il pubblico vero se ciò fosse realmente successo. Solo quando sono iniziate le riprese tutti hanno ricevuto il proprio copione basato sulle improvvisazioni delle prove, ma non era stato scritto il terzo atto. Nessuno sapeva cosa sarebbe successo, tutti l'hanno scoperto il primo giorno di riprese. Questo metodo ha consentito di riprodurre lo spaccato di vita che desideravo ottenere.  

Perché ha scelto l'Oresteia come punto di partenza e sfondo per il suo film?
L'Oresteia rappresenta un mito universale e resta vivo ancora oggi poiché tratta di tutti i problemi esistenziali del genere umano che mi interessavano: il potere, la vendetta, i ruoli, l'identità e la catarsi. Allo stesso tempo, è una storia che esiste da migliaia di anni e non ho saputo resistere alla tentazione di rubarla perché è davvero efficace! Ma soprattutto, l'Oresteia, sin dal primissimo momento in cui è apparsa, è stata un mistero per il pubblico, un enigma teatrale che si serve di un linguaggio ricco di segreti ed impliciti. Ciò genera una stima ed uno sconcerto che possono portare all'ammirazione o al rifiuto. Interruption è intriso dell’essenza dell'Oresteia, che rappresenta la nozione dell'ignoto, la quale possiamo solamente percepire e non razionalizzare. E' uno dei livelli più profondi del film.

Interruption gioca con le convenzioni e le aspettative in una maniera estremamente interessante. Crede che il fatto di tradire le aspettative del pubblico sia da considerarsi una fonte di catarsi?
Niente affatto. La catarsi è una procedura personale e interna in cui anima e corpo hanno bisogno di essere purificati e in questo film ricopre il ruolo più importante per i partecipanti così come per il coro. Interruption sfida il modo in cui percepiamo la realtà e si concentra sull'idea che noi vediamo quello che ci aspettiamo di vedere. Dal punto di vista della drammaturgia, vengono utilizzate tutte le convenzioni e le aspettative del linguaggio cinematografico per rivelare che la realtà è un imbroglio e scoprire come una voce autoritaria possa manipolarci e controllare le nostre azioni. Il pubblico in sala non viene mai ingannato. Ha a disposizione tutte le informazioni necessarie e le stesse identiche conoscenze presenti nel teatro immaginario.

A proposito del teatro, in che modo ha gestito il set minimalista e qual è stata la sfida più grande che ne è derivata?
La sfida più grande è stata quella di trasformare la configurazione teatrale in una messa in scena cinematografica. Ecco perché ho utilizzato i confini ed effettivamente ho cercato di dissolverli. Luce ed oscurità, le azioni all'interno e all'esterno della struttura. Il mio intento era quello di creare un continuum semplificato di poltrone scure che si estendesse dalle poltrone del cinema alle poltrone oscure del teatro immaginario. Alla prima del film, sarebbe sembrato come se il pubblico del teatro si fosse mescolato con il pubblico del cinema.

Sta lavorando ad un nuovo film? Di cosa parlerà?
Sto lavorando a una nuova sceneggiatura. Il personaggio principale di questo film è un uomo che è appena stato resuscitato.

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(Tradotto dall'inglese)

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