email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

Barbet Schroeder • Regista

"Il mio principio è non giudicare mai"

di 

- CANNES 2017: Incontro con Barbet Schroeder per parlare del suo appassionante documentario The Venerable W., presentato in proiezione speciale a Cannes

Barbet Schroeder  • Regista
(© M. Petit / Festival de Cannes)

Con The Venerable W. [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Barbet Schroeder
scheda film
]
, in proiezione speciale della Selezione ufficiale del 70° Festival di Cannes, Barbet Schroeder fa il ritratto illuminante di un buddista birmano che soffia sulle braci del nazionalismo anti-musulmano.

Cineuropa: Come ha scoperto l’esistenza di Wirathu e perché ha deciso di fare un film su questo W. che è tutt’altro che venerabile?
Barbet Schroeder: E’ buffo. L’ho scoperto per caso leggendo degli articoli sul buddismo e mi è capitata una cosa che evocava un possibile ruolo dei buddisti in un inizio di genocidio in Birmania, nel paese dei Rohingya. Ero talmente scioccato al pensiero che il buddismo potesse essere associato in qualche modo al più grande dei crimini, che mi sono detto che bisognava partire subito e cercare di capire se potevo farci un film. Perché mi sembrava interessante studiare questa ambiguità e cercare di comprenderla.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)
Hot docs EFP inside

Qual è stata la sua impressione quando ha incontrato W.?
Mi sono reso conto che era molto più intelligente di quanto credessi e molto più maligno e demoniaco di quanto pensassi.

Come gli ha presentato il suo progetto di film?
Gli ho detto la verità, che pensavo che fosse importante per il mondo intero, perché c’è una tendenza generale per questo genere di odio, di trattamento sprezzante per le minoranze, che può provocare in ultima istanza delle violenze terribili, mentre la parola all’inizio è spesso mascherata e dolce.

Raccontando la vita W., ha familiarizzato con tutto il corpus ideologico di cui si è impadronito.
Come spesso accade nelle questioni di razzismo, ci sono libri che sono come i serpenti di mare, che ricompaiono attraverso le generazioni. Questo è un libro in cui si ritrovano i temi di tutti i pamphlet e discorsi razzisti. E certo, gli estremisti di oggi hanno i loro account su Facebook e se ne servono in modo molto efficace e pericolosamente utile, mentre il film mostra bene che nel 2003, quando W. è responsabile di una sommossa nella propria città natale, all’epoca c’erano solo i pamphlet che venivano distribuiti nei mercati e sono questi che sono serviti a soffiare sulla brace. Allora, dieci anni più tardi, con Internet...

Come è riuscito a coniugare questo ritratto di uomo con quello di un paese, ossia un materiale vasto e complesso da comprendere?
Sono nove mesi di montaggio, 300 ore di materiale che bisogna non solo vedere e scegliere, ma anche tradurre. E’ un lavoro gigantesco, ma del tutto appassionante perché penso sempre che più scavi una situazione specifica, più arrivi all’universale. Qui sono arrivato a Trump e a Marine Le Pen studiando un oscuro movimento buddista in Birmania.

Perché la questione del male le interessa tanto?
Non mi interessa in sé, non sono affascinato dal male, ma mi interessa capirlo e far capire che il male si nasconde molto spesso sotto una maschera benevola. Se faccio una trilogia sul male, è perché voglio mostrarne diversi aspetti, perché penso che sia un tema capitale per l’umanità, che attraversa le età e di cui non abbiamo finito di parlare. E per me, l’approccio non manicheo è il migliore, l’approccio ambiguo è quello che porta più risultati. Il mio principio è non giudicare mai e tutti i miei film si basano su questo. Ovviamente, non si esce dal mio film senza rimanerne sconvolti, quindi è molto difficile immaginare uno spettatore che non giudica alla fine. Ma ho tentato di non programmare questo giudizio.

Come definisce i tre capitoli di questa trilogia del male?
Idi Amin Dada è sul potere assoluto, la dittatura. Poi avevo un progetto sui khmer rossi, la dittatura dell’utopia, ma purtroppo non ho fatto il film. L'avvocato del terrore [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
è la storia del terrorismo cieco dalla sua nascita, attraverso un personaggio che ne era un perno importante. Ora, con The Venerable W., è l’uso della religione, con qualcosa che assomiglia alla Germania degli anni ‘30.

Lei è buddista. Realizzare questo film l’ha fatta interrogare su questo piano?
No, perché penso che la parola di Budda sia meravigliosa, profonda, e che abbia un valore universale, come un tesoro dell’umanità. Ma la sua parola è stata tradita da questo signor W., come accade sicuramente nelle altre religioni.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dal francese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy