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Marina Stepanska • Regista

“Bisogna aver rispetto della realtà, perché trova sempre il modo di sovrastarti”

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- KARLOVY VARY 2017: L’esordiente regista ucraina Marina Stepanska parla con Cineuropa del suo primo lungometraggio, Falling, e del suo metodo di lavoro con gli attori

Marina Stepanska  • Regista

Diplomata alla Karpenko-Kary Kiev National University of Film and TV, Marina Stepanska presenterà il suo primo lungometraggio, Falling [+leggi anche:
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, nel concorso East of the West del Karlovy Vary International Film Festival di quest’anno (30 giugno-8 luglio).  Falling è un dramma psicologico con al centro una storia d’amore e un ritratto della generazione dei giovani russi, che cercano di trovare il loro posto nell’Ucraina post-rivoluzionaria. Cineuropa ha incontrato la regista per parlare con lei del suo metodo di lavoro con attori non professionisti e della situazione a cui Falling fa riferimento.

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Cineuropa: Lei ha sviluppato un metodo di lavoro con attori non professionisti sul set. Perché la attira questo metodo in particolare e in che modo l’ha utilizzato nei suoi precedenti lavori?
Marina Stepanska:
Quando mi sono diplomata, all’inizio degli anni 2000, c’era un solo tipo di lavoro per i filmmaker in Ucraina: la regia di serie TV o di video musicali. Ho accettato, ma sono rimasta subito molto delusa da questa forma di intrattenimento. È veramente noioso creare una verità posticcia. In quel periodo dirigevo una piccola scuola di teatro con il mio compagno e devo dire che le persone che la frequentavano mi hanno dato molto per quanto concerne la mia capacità di trovare un modo di catturare la vita e tradurla in immagini.

In seguito ho lavorato come assistente in un film con attori non professionisti e lì ho trovato quello che posso definire il mio “metodo”. Questo metodo ha i suoi vantaggi: puoi vedere quando qualcosa  di importante sta per nascere attraverso un’espressione, e non potrai mai replicare con la recitazione questo momento magico. Però, ha anche i suoi svantaggi: un attore non professionista è molto limitato; non puoi pretendere che interpreti nessuno se non se stesso, e se ci provi rimarrai deluso. Inoltre, per gli attori non professionisti devi creare le circostanze giuste, hanno bisogno di qualcosa di reale intorno a loro. Quindi, con questo metodo, è sempre necessario costruire la vita intorno agli attori, e questo è molto impegnativo.

Questo è il metodo che ho usato in Falling, si è trattato veramente di ricostruire uno scenario di vita reale a partire da dettagli reali, durante le riprese. Le storie di questi attori sono in parte simili a quelle dei personaggi che interpretano, ma possono modificarle come se fossero strumenti in mano a loro stessi. Non credo nella cosiddetta manipolazione della realtà da parte del regista, soprattutto quando sono coinvolti attori non professionisti. Non ho ancora visto un risultato che mi abbia convinto. Se hai una scena precisa in mente, prendi degli attori e ricostruiscila con loro; se però vuoi indagare la vita vera, prendi attori non professionisti, ma non credere di dar vita alle tue idee  grazie a loro. Bisogna aver rispetto della realtà, perché trova sempre il modo di sovrastarti.

Di cosa parla Falling, e cosa ha contribuito all’idea della storia?
Questo film parla di me e dei miei amici; nel 2013 vivevamo tutti a Kiev, anche se ora nessuno di noi è più lì. Il sentimento più forte che avevo in quei giorni era una sorta di disorientamento. C’era un’enorme differenza tra quello che provavo e quello che avrei dovuto provare. Ero tutto il tempo seduta in cucina, che è per tutti il luogo sacro della casa, a leggere notizie e opinioni sul futuro del nostro paese, e mi sono resa conto che pensavo al futuro di una persona in particolare. Questa persona ha assorbito il mio dolore e i miei momenti di gioia. Ne è venuta fuori la storia di un ragazzo di 26 anni, perché conoscevo quel tipo di persona, ma sono giunta alla conclusione che se fosse stata una ragazza, sarebbe stata la stessa cosa.

Perché ha scelto l’Ucraina post-rivoluzionaria come set?
Non ci sono stati film sulla mia Kiev per molto tempo, quindi era proprio un desiderio quello di parlare di noi nei nostri luoghi, nella nostra lingua. Poi siamo stati fortunati che Kiev sia diventata il centro dell’attenzione, in quel momento. Ho anche una forte miopia, il che spiega forse il tema che affronto. 

Sebastian Thaler, il figlio del direttore della fotografia di Ulrich Seidl, Wolfgang Thaler, ha seguito le orme del padre per il tuo primo lungometraggio. Come è arrivata a lui?
Sebastian ha lavorato come secondo operatore di ripresa con suo padre Wolfgang nel film di Seidl, oltre che nel set di Ugly [+leggi anche:
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intervista: Juri Rechinsky
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, dove l’ho conosciuto. Ho fatto alcuni lavoro per loro. Siamo diventati grandi amici ed è stato Sebastian a suggerirmi di girare il mio secondo corto, Man’s Work, quindi eravamo un duo già affiatato in Falling. In sintesi, la sua macchina da presa ama quello che amo anch’io, i visi umani, per cui penso che lavoreremo ancora insieme.

Su cos’altro sta lavorando?
Il mio futuro progetto è una commedia sulle donne, o una tragedia sulle donne; quale delle due dipende dai finanziamenti. È legato a zone diverse, quindi molto dipende dalle risorse della produzione.

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(Tradotto dall'inglese)

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