email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

Bernardo Bertolucci • Regista

Il vento folle del '68

di 

- Il regista ha appeno concluso The Dreamers la pellicola sul maggio francese: "Racconto l'utopia, gli entusiasmi di quei mesi e di quell'età"

FIESOLE - Il '68, il sesso, l'erotismo, la libertà. Il Maggio con le sue utopie, gli slogan, e il vento folle dell'adolescenza, il desiderio e la politica, e l'amore per il cinema. Di questo parla The Dreamers [+leggi anche:
trailer
intervista: Bernardo Bertolucci
scheda film
]
, il nuovo film di Bernardo Bertolucci, girato a Parigi, finito da qualche settimana, e pronto per essere visto alla prossima Mostra del cinema di Venezia. Intanto però, a Fiesole, dove Bertolucci ha ricevuto il Premio Fiesole ai maestri del cinema - gli è stato consegnato ieri sera da Roberto Benigni, arrivato in grande incognito per abbracciare l'amico regista, con il quale ebbe anche un breve ruolo in "La luna" - si sono visti, in anteprima assoluta, alcuni minuti di The Dreamers. E, per la prima volta, Bertolucci ha accettato di parlare del suo film.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

"Racconto l'utopia, racconto gli entusiasmi di quei mesi, di quell'età", dice Bertolucci. "Non mi interessa la Storia con la maiuscola. O forse, la Storia è anche nelle storie individuali di tre ragazzi, che si trovano a vivere insieme, in quei giorni, in quei mesi. Con tutto l'entusiasmo di quell'epoca, un entusiasmo che ora non vedo più. No, non è un'autobiografia: intanto perché io, nel '68, non avevo diciotto anni, ma ventisette. Poi perché l'ho vissuto nei racconti di Pierre Clémenti, un attore che ho amato moltissimo, e con il quale stavo girando, a Roma, 'Partner'. Clémenti ogni fine settimana prendeva l'aereo per Parigi. E il lunedì, ci raccontava cose favolose, dal mondo del Maggio. Ci raccontava gli slogan che leggeva. Me ne ricordo uno, meraviglioso: 'sous le pavé, la plage'. Sotto il pavé, il lastricato di Parigi, la spiaggia. Mi sembrava quella la vera poesia di quegli anni".

Ha usato quello slogan nel film?
"Sì: era troppo bello per ignorarlo. L'ho collocato alla Sorbona, alla facoltà di medicina, dove era veramente, nella primavera del '68".

C'è un legame fra quegli anni e il movimento no global di questi anni? C'è stato, per lei, questo legame? I fatti di Genova e del G8, per esempio, hanno influenzato in qualche modo il suo film?
"Il film l'ho dentro da sempre, è una storia che mi coinvolge in modo intenso. Dunque non sono stato influenzato dal presente. Ma in un altro senso, sì, è vero: ad esempio, c'è una sequenza in cui mostro una carica della polizia. Mentre stavo montando quella sequenza, ho pensato ai fatti di Genova. E ho prolungato quella sequenza, l'ho resa feroce, intollerabile. Ecco come il presente si è insinuato in un film che avevo già dentro da anni".

Dopo un periodo "americano" e internazionale - L'ultimo imperatore, Il tè nel deserto, Il piccolo Buddha - era tornato in Italia, per film piccoli e intensi come Io ballo da sola e L'assedio. Ora è tornato alla Francia, il suo primo amore cinematografico…
"Era un amore che doveva tutto alla nouvelle vague. La mia prima intervista, con i giornalisti di Roma, la feci nel 1960. A Roma. E io chiesi: facciamo l'intervista in francese. Perché?, mi chiesero allibiti. Ma par ce que le français c'est la langue du cinéma!, risposi io, con entusiasmo un po' fuori luogo. Mi ci sono voluti trent'anni, per ricucire il mio rapporto con la stampa", dice, ridendo.

Il suo giudizio sull'Italia, oggi?
"Se parliamo di cinema, buono. Per anni ho avuto il sentimento di una lenta e inevitabile agonia del cinema italiano. Da un paio d'anni mi sembra stia rinascendo tutto: film come Respiro, L'imbalsamatore o Angela mi riconciliano con il cinema italiano. Se parliamo di politica, l'Italia mi provoca un disagio fortissimo da due anni. Mi sembra che il governo italiano vada assolutamente contro l'idea che mi ha guidato lungo tutti questi anni, che è quella dell'innamoramento fra le culture, della fascinazione per ciò che è diverso da noi. Settimane fa avevo manifestato un mio incubo: che il 'grande comunicatore' cominciasse a essere accettato nel resto d'Europa, che la cecità che ha colpito l'Italia davanti a Berlusconi conquistasse gli altri paesi".

E adesso?
"Adesso, Berlusconi stesso mi ha liberato da quell'incubo, con il suo exploit dell'altro giorno. Ma me ne è venuto un altro: ho sentito dentro di lui la voce di Bossi, come se Bossi lo possedesse, e parlasse con la bocca di Berlusconi. Come vede, gli incubi non finiscono mai…".

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy