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BIOGRAFILM 2018

Carlos Saura • Regista

"A volte è più affascinante seguire l'evoluzione di un progetto piuttosto che vederlo terminato"

di 

- Abbiamo incontrato il grande regista spagnolo Carlos Saura per parlare del suo documentario Renzo Piano: The Architect of Light, in anteprima mondiale al 14° Biografilm di Bologna

Carlos Saura • Regista
(© Biografilm)

Da quando era solo un’idea, uno scheletro, a quando è stato rivestito della sua “pelle” e aperto alla cittadinanza, Carlos Saura ha documentato la nascita del Centro Botín a Santander, progettato da Renzo Piano. In Renzo Piano: The Architect of Light [+leggi anche:
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intervista: Carlos Saura
scheda film
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, presentato in prima mondiale al 14° Biografilm di Bologna (e nelle sale con I Wonder Pictures a settembre), il grande regista spagnolo segue le varie fasi di progettazione e costruzione dell’edificio, intrattenendo con il famoso architetto italiano un intenso dialogo sull’arte, il processo creativo e la funzione sociale della bellezza.

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Cineuropa: Renzo Piano dice che voi artisti siete come una specie in via d’estinzione che cerca la bellezza per migliorare la vita delle persone. Si riconosce in questa definizione?
Carlos Saura: Io sono più scettico, vedo che ancora oggi la bellezza non è in grado di cancellare le guerre e la violenza. L’idea che la cultura possa migliorare il mondo è fantastica, la realtà però è diversa. Ma sono convinto che Renzo Piano ci creda veramente, ha un animo romantico. E’ una bella persona, oltre che un grande artista. Lui era focalizzato sulla dimensione sociale e culturale di questo progetto, sul coinvolgimento dei cittadini. Ha superato molte obiezioni (dicevano che collocare l’edificio in quel punto avrebbe impedito il passeggio sul lungomare), ma ha dimostrato che aveva ragione lui: ora il Centro Botín è un posto molto amato e vissuto dalla comunità di Santander.

Come è avvenuto il suo primo incontro con Renzo Piano?
Di persona non lo conoscevo, e quando mi è stato chiesto di realizzare questo documentario mi è sembrato molto interessante. Ci siamo incontrati per la prima volta a Genova. L’ho seguito dall’inizio alla fine del progetto, andavo di tanto in tanto a Santander per documentare l’evoluzione dei lavori. E’ durata anni, per me ogni volta era come tornare in un luogo familiare. Ciò mi ha permesso di costruire un rapporto di vera amicizia con lui, che continua tuttora. Posso fregiarmi di essere amico di due grandi maestri italiani: lui e Vittorio Storaro, che ha curato la fotografia di sei miei film. Sono persone simili, rigorose, che danno il massimo nel loro lavoro, e sono entrambi maghi della luce.

Nel documentario si parla molto della luce, e ci sono vari parallelismi tra il mestiere dell’architetto e quello del regista.
Renzo Piano parla sempre dell’importanza della luce nei suoi progetti, ne è quasi ossessionato. Per noi cineasti è un po’ diverso, lavoriamo soprattutto con la luce artificiale. Per lui luce e acqua sono elementi fondamentali. E’ un rivoluzionario, ha cambiato la tendenza dei musei di più vecchia costruzione dove la luce arrivava lateralmente dalle finestre, lui ha portato la luce dall’alto, perpendicolare, quasi metafisica. Oggi che il Centro Botín è finito, sono affascinato dal ruolo che ha la luce e i suoi rifessi sul mare, e credo che migliorerà col tempo, mano a mano che cresceranno gli alberi e il giardino si integrerà sempre più con il complesso.

Che cosa l’ha ispirata dell’opera di Renzo Piano in generale?
Sono sempre stato affascinato dal processo di creazione, dal concepimento della prima idea all’evoluzione che porta a completare un’opera d’arte. Ho già esplorato questo tema in Tango, Carmen, Io, Don Giovanni. Di Piano, mi è piaciuta la sua capacità di improvvisare, adattare strada facendo quella che era la sua idea originaria al contesto della città. Mi è piaciuto chiacchierare con lui e condividere i nostri punti di vista, sono d’accordo col 95% delle sue opinioni. Questo è un documentario puro. In genere utilizzo la mia immaginazione, in questo caso mi sono permesso il lusso di seguire fedelmente ciò che vedevo.

Piano dice che creare è come guardare nel buio, gli occhi devono abituarsi, e che per creare ci vuole il vuoto, il silenzio.
Sono d’accordo. E’ impossibile realizzare qualsiasi cosa se non lo si fa da soli, anche se per girare un film o progettare un edificio hai poi bisogno di una troupe di collaboratori. Sono un sostenitore delle cosiddette solitudini condivise, mi piace circondarmi di poche persone ma buone, che capiscano questa mia esigenza. Un’altra cosa che Piano dice, e che condivido, è che non sempre puoi fare qualcosa che piaccia a tutti, innanzitutto deve essere in linea con la tua personalità, poi se piace anche gli altri è meglio. E’ un rischio che bisogna avere il coraggio di correre.

Nel film, lei sembra molto affascinato dallo scheletro dell’edificio in corso d’opera. Il risultato finale le piace?
A volte è più affascinante seguire l’evoluzione di un progetto piuttosto che vederlo terminato. Sono affascinato da questa struttura che sembrava apparentemente fragile, di una bellezza assoluta, che poi si è andata ricoprendo, trasformandosi. Mi piace molto il risultato finale. Piano la considera una sua opera minore, che però ha costruito con grande attenzione ed entusiasmo. Non è un’opera mastodontica, ma ha una dimensione sociale molto importante.

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