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Alain Resnais • Regista
Coeurs in concorso alla Mostra di Venezia

"Il cinema non torna indietro"

di 

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scheda film
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, presentato in concorso alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia , il maestro francese aggiunge alla sua sterminata filmografia un'altra commedia dai toni delicatamente ironici sulla eterna ricerca della felicità. L'abbiamo incontrato al Lido dopo una applauditissima proiezione.

Cineuropa: Il film è stato presentato inizialmente con il titolo dell'opera teatrale di Alan Ayckbourn da cui è tratto, Private Fears in Public Places. Poi è cambiato semplicemente in Coeurs (Cuori).
Alain Resnais: Una delle caratteristiche delle tante pièce teatrali di Ayckbourn (io ne ho visto 24 in teatro e 22 ne ho lette) è che è praticamente impossibile tradurre in francese i titoli. Piccole paure... non ci piaceva e ho pensato di dare un titolo al film il giorno in cui avessi visto il montaggio definitivo. Ho proposto 104 titoli diversi all'amico Bruno Pésery (il produttore, ndr). Tra questi titoli c'era Coeurs . Il cuore è in continuo movimento, non si ferma mai, era adatto al film. Ho scelto cuori al plurale e credo che in questo io abbia avuto l'avallo di tutti, tecnici e attori.

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Dopo Mélo, Smoking/No smoking, un altro saggio di teatro filmato, cosa pensa del teatro al cinema?
Non ho mai sentito in modo particolarmente intenso la differenza tra cinema e teatro. Di solito si dice 'vado al teatro', perchè è il contrario del cinema, perché il teatro è fisso, è nel passato. In realtà è come per le lingue del mondo, che sono tutte diverse, ma i semiologi dicono che sono tutte simili, che le differenze non sono così forti. Adattare una pièce non mi spaventa, perché questi due tipi di spettacolo hanno una cosa in comune: che non si può tornare indietro, non si può dire al proiezionista di farvi rivedere una scena, non si puo chiedere all'attore di ripetere una scena. Mi sento a mio agio nel trasporre una pièce al cinema, e rimango fedele.

Un film fatto di solitudine, tristezza, con la neve che scende su scenografie chiuse in cui si muovono personaggi che sembrano immersi in un acquario.
Certo, l'acquario. C'è un aspetto fosco e rumoroso, in questo testo, abbiamo cercato di restituirlo sullo schermo. Durante la lavorazione del film cercavamo di essere un tessuto di contraddizioni, creare quel mix di pulsioni fluttuanti che si agitano in noi e che io immagino di condividere con un certo numero di spettatori. Ho voluto valorizzarte con le immagni e la recitazione dei personaggi che potenzialmente potrebbero esprimere qualcosa di meglio, ma non vogliono o possono farlo, dare l'idea di una nostalgia del fare meglio che li porta a non fare meglio o a tentare guarigioni insperate come fa il personaggio di Charlotte. I nostri destini, le nostre vite sono sempre guidate, il nostro destino può dipendere da persone che non abbiamo mai incontrato.

I personaggi femminili sono decisamente più vitali di quelli maschili...
Sono lieto di questa impressione, che prova che il film è stato girato nel 2006, perché c'è un fenomeno storico per cui il ruiolo della donna è cambiato molto negli ultimi anni. Dal voto concesso alle donne al cinema: oggi ci sono tante donne registe, montatrici. Alan Ayckbourn ha voluto accentuare questo per ristabilire una sorta di equilibrio.

Nel 1961 ha vinto a Venezia con L'anno scorso a Marienbad. Che effetto le fa tornare 45 anni dopo con questo film?
Durante i primi 45 minuti de L'anno scorso a Marienbad il pubblico ha reagito in modo violento, sottolineando le battute del film con fragorose risate. Io mi sono girato verso gli organizzatori del festival: interrompiamo, troppa sofferenza! Poi, dopo una serie di immagini, la maggior parte degli spettatori si è lanciata in un applauso, si è creato un rispettoso silenzio e infine c'è stato il Leone d'Oro. Il mio lavoro di regista avrebbe dovuto concludersi definitivamente quella sera perché non sarei mai potuto tornare a Venezia con un altro film.

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