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Michel Spinosa • Regista

Anna M, nient’altro che una donna gelosa

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Nel 1994 il regista francese Michel Spinosa ha diretto l suo primo film, Emmène-moi. Quell’anno venne selezionato al Festival di Locarno. Per quella sceneggiatura ci fu la collaborazione di Gilles Bourdos, con il quale ha continuato firmando sceneggiature per film che lo stesso Bourdos ha diretto in seguito (tra cui il più recente Inquiétudes). Le incursioni di Spinosa nella regia, però, sono state frutto di un processo solitario di scrittura. Il suo terzo film come regista-sceneggiatore, Anna M [+leggi anche:
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, ha per protagonista la versatile Isabelle Carré nel ruolo dell’erotomane che crede che il suo medico (Gilbert Melkhi) sia innamorato di lei, anche se lui in realtà è felicemente sposato. Il film, dominato da un’atmosfera psicologica molto intensa, è stato presentato nella categoria “Panorama” dell’ultima Berlinale (vedi articoolo). È qui che Cineuropa ha incontrato il regista, nell’accogliente bar di Unifrance. Anna M esce nelle sale francesi e belghe l’11 aprile.

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Cineuropa: In quanto francese che oggi vive a Berlino, come definirebbe il cinema europeo?
Michel Spinosa: In realtà non lo so. Certo, i lavori dei registi europei mi hanno influenzato e aiutato a formarmi come regista. Le cinematografie nazionali di Inghilterra, Spagna, Italia, Germania, Svezia e Danimarca sono caratterizzate da un cinema d’autore che si sostenta attraverso dei lavori estremamente poetici. Ma non saprei dire che cosa abbiano in comune tutti i registi europei.

Qual è stata l’idea originale, che ti ha spinto a fare Anna M?
Sono sempre stato attratto dalle storie d’amore complicate. E mi è sempre piaciuto giocare con questo. Tutto è cominciato dall’idea di fare un film sulla gelosia. Ho letto un libro di uno psicologo sull’erotomania [La jalousie amoureuse, di Daniel Lagache] e sono rimasto affascinato dalle storie in cui la gente soffre. Cambiava completamente tutte le mie idee sulla gelosia, e questo mi intrigava: in America si sarebbe trasformato nell’ennesima Attrazione fatale, ma credo che in Europa si possa fare un film dal punto di vista di una persona “pazza” e rimanerle accanto durante tutto il film. Bisogna cercare di essere onesti con il personaggio, mantenendo però vivo l’interesse del pubblico.

Anna lavora come restauratrice di libri. Per questo si confronta, ogni giorno, con questa realtà, con la fantasia e i suoi topos letterari, da romanzo ideale. In che misura il suo lavoro influenza la sua personalità?
Il suo lavoro, ovviamente, è molto isolato e solitario. Si trova già al margine del resto del mondo, in un certo senso, e il suo mondo è senza tempo, ma è eterno e universale. Tutti i decori, l’illuminazione e la musica sono stati concepiti a partire da questa idea.

L’atmosfera di questo film è anche molto particolare. Che cosa vuole trasmettere lo stile del film?
C’è una modesta influenza del periodo Barocco e dello stile dei pittori del Diciassettesimo secolo: Zurbarán, Rembrandt e de la Tour. Nei suoi lavori, un’esplosione di luce trasforma spesso il profano in mistico. E gli erotomaniaci, allo stesso modo, vedono il mondo in modo diverso. La camera rimane sempre vicina al punto di vista di Anna e del suo corpo. Nel film si muove costantemente: ma non si capisce mai chiaramente dove va. Come se si stesse aggirando in un labirinto.

Gran parte della forza del film si deve alla coraggiosa interpretazione di Isabelle Carré.
La scelta di Isabelle è stata molto semplice. È un’attrice meravigliosa, sembra fragile e affabile allo stesso tempo. E al pubblico, in qualche maniera, viene voglia di proteggerla dal pericolo: questo aiuta lo spettatore a mettersi al fianco del personaggio. Gli erotomaniaci – soprattutto le ragazze – interpretano tutto come un segnale e sono realmente molto fantasiosi. Quest’ultimo è anche il caso di Isabelle: e Anna è un’invenzione sua quanto mia.

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