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FILM / RECENSIONI

La Fée

di 

- Le disavventure esilaranti di una strana coppia. Un'opera burlesca e poetica scoperta a Cannes.

E stata aperta all'insegna dell'evasione e delle risate nella migliore tradizione del cinema burlesco, la Quinzaine des réalisateurs del 64mo Festival di Cannes, con la coproduzione franco-belga La Fée [+leggi anche:
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di Fiona Gordon, Dominique Abel e Bruno Romy.

Degni eredi di Charlie Chaplin, Harold Lloyd, Buster Keaton, Mack Sennet e Jacques Tati, i tre registi di L’iceberg [+leggi anche:
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(in sezione parallela a San Sebastian nel 2005) e Rumba [+leggi anche:
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(alla Settimana della Critica cannense nel 2008) approfondiscono con La Fée un lavoro di una grande ricchezza creativa, conferendo a un'opera senza tempo tocchi di funambolismo poetico. I tre registi e interpreti non si sottraggono ad alcuna audacia (travestimenti bizzarri, coreografie deliranti, inseguimenti continui, coincidenze perfette…) e inanellano gag divertenti ed effetti speciali artigianali nello spirito volontariamente naif del cinema muto, ma dimostrano di non essere soltanto tre talentuosi clown fuori dal comune. Il loro film tesse in sordina la metafora di un mondo contemporaneo stretto nella solitudine, la routine e l'asprezza della vita, in cui gli esseri umani fantasticano un altrove, l'amore, l'aiuto reciproco e persino l'immigrazione clandestina.

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La fata del titolo è Fiona, che arriva all'improvviso nella vita di Dom, una specie di disadattato, muto, portiere di notte in un hotel della città portuale di Le Havre. La sua entrata in scena dà precisamente il tono ("sono una fata, hai tre desideri da esprimere") e il loro colpo di fulmine avviene grazie all'accidentale ingestione del tappo di una bottiglia di ketchup da parte di Dom mentre mangia un panino. Dopo averlo salvato dal soffocamento con un metodo sorprendente (ed esilarante), Fiona prosegue con un incredibile massaggio tantrico prima di scomparire. L'appuntamento è per 48 ore più tardi al "Caffè dell'amore sfocato" (gestito da un Bruno Romy più miope di una talpa). Seguono molteplici peripezie e ostacoli che i nostri eroi dovranno superare, mentre incontreranno sulla loro strada un cliente anglofono dell'hotel (e il suo cane) e tre clandestini africani diretti in Inghilterra. Finiranno tutti per formare un gruppo di straordinari ciarlatani che trasgrediscono la legge e sfuggono a una polizia messa in ridicolo.

Sfruttando al massimo l'arte del muto, l'espressività del corpo e l'impatto visivo delle situazioni (e degli scenari naturali molto cinematografici di Le Havre) per suscitare sorrisi e vere e proprie risate, La Fée trae un beneficio eccezionale dagli accessori (scooter, sedia a sdraio, vestiti…) fino alla scena culminante di un parto divertentissimo. Si scappa dall'ospedale, ci si spacca la faccia per le scale, si precipita da una rupe, una macchina fa zigzag con un bambino dimenticato sul cofano posteriore (nel portabagagli sono rinchiusi i clandestini), un serbatoio di benzina esplode: l'amore sovversivo di Fiona e Dom non è per niente facile. Ma come suggerisce una canzone del film, questa "barca vagabonda" che naviga come un'improvvisazione jazz offre agli spettatori una rigenerante parentesi di sogno, felicità, piacere e follia su una "terra dove ci si dimentica di ogni preoccupazione".

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(Tradotto dal francese)

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